CIVILTA' IN DECLINO

Il declino si può osservare, vi si può correre come fosse uno scivolo inseguendo il brivido insano di sfracellarsi e gioire nella deflagrazione tanto attesa.

 Oppure si può cercare di risalire faticosamente alla sua origine e mostrare che è ancora possibile invertire la rotta.

E penso che sia proprio questo che bisogna fare oggi. Senza se e senza ma.

Ci sono stati lunghi momenti di assenza; la mia tentazione di sparire per via di un misto di discrezione ed irritante presunzione è qualcosa con cui devo spesso combattere.

“Il problema non è più consentire alle persone di esprimersi, (…) ma fornire piccoli intervalli di solitudine e silenzio in cui possano infine trovare qualcosa da dire. Le forze repressive non impediscono alle persone di esprimersi, ma piuttosto le costringono a farlo. 

Che sollievo non avere niente da dire, avere il diritto di non dire niente, solo in questo modo abbiamo la possibilità di incorniciare il non comune, l’eccezionale perfino, la cosa che possa valere la pena di essere detta”,  scriveva Deleuze.

Ed in forma molto più prolissa, anch'io diversi anni fa ero giunta alla conclusione che non compromettersi con il mondo, cancellando le tracce lasciate per impedire la proliferazione di giudizi distorti intorno ad esse, fosse la sola strada da praticare (cfr. il post lasciato sul blog precedente: I Palmipedoni ).

Tuttavia, in fondo è perché ho creduto di avere avuto qualcosa da dire che ho inaugurato un annetto fa questo blog, che, per quanto già molto (troppo) denso di post, rimane aperto, precario ed in continua evoluzione perché c'è molto, moltissimo da dire ancora. 

E stancarsi non vale, non è ammesso che per alcune giornate o poche settimane, che occorrono per indagare e cogliere segnali che vanno condivisi, per non essere dispersi.

Non c'è nessun orgoglio nell'arretrare, ritenendo troppo banale, superfluo e sciocco questo tentativo di partecipazione. Il disfattismo e l'indifferenza si somigliano moltissimo. 



Antonio Gramsci nel 1917 scriveva:

"L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città  e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.

L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; è ciò su cui non si può contare, è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. 

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti.

Ciò che avviene non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.

Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva , e la massa ignora perché non se ne preoccupa. 

I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette , degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi  attivi, e la massa degli uomini ignora perché non se ne preoccupa.

Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.

E quest'ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe che apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.

Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano:

se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?

Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio o la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.

I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze.

Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità.

E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere".


Abbiamo tutti da imparare da Gramsci e da quell'odio per gli indifferenti che, se letto e inciso nelle coscienze di tante italiane ed italiani, avrebbe impedito il sorgere del fascismo allora e riuscirebbe anche oggi a tenere lontane moltissime derive autoritarie ed antidemocratiche.

In attesa che vengano alla luce nuove trascurabili indicazioni anche da parte mia su come provare a fare i conti con i lati oscuri della contemporaneità occidentale, raccolgo qui le riflessioni lasciate nei mesi scorsi intorno a quella che per me ha innegabilmente la forma di decadenza della nostra civiltà:



Ora e sempre, resistenza!

Buona lettura!---

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