Arrivano i monstruos

 

 Francisco Goya, El sueño de la razón produce monstruos, 1797

La ragione umana è un mistero che non sarà mai pienamente decifrato.
Solitamente intendiamo con questo termine (che traduce il latino ratio, trascurando il più complesso logos greco) un'attività di esame e giudizio, che antepone agli impulsi e alle affrettate decisioni dello stomaco, una visione più attenta, lucida e calma di quanto convenga pensare, dire e fare.

La ragione può dirsi, dunque, strettamente collegata al calcolo, alla necessità di regolarsi e misurare passioni, opinioni e comportamenti per non soccombere al caos degli istinti, alla catastrofe delle intemperie e all'affanno delle vicissitudini dell'esistenza.

Ricorrere alla ragione diventa pertanto un antidoto alla paura ed appare la sola strada concessa per guadagnare la libertà, come ci hanno insegnato quasi tutti i filosofi occidentali da Platone e Aristotele in poi (e anche qualche presocratico, ma il logos greco aveva una dimensione differente, molto più linguistica, che non si opponeva in maniera drastica al mondo oscuro delle passioni, ci tornerò forse).
E come ci insegna, di frequente, la vita stessa.
In ogni caso, lo stigma del torpore pericoloso che consegue alla rinuncia alla ragione emerge con chiarezza dalla celebre acquaforte di Goya qui sopra, che parrebbe inquadrarsi in quest'esaltazione millenaria della razòn.

Autoritratto di Goya del 1815, conservato al Museo del Prado

Sprofondare nel sonno, ma anche soltanto sonnecchiare interrompendo l'implacabile attività raziocinante, per il pittore spagnolo- che etichetterò sbrigativamente, e quindi certamente a torto, tardo "illuminista"- non può che determinare l'avvento di tutti i vizi e di tutte le tragedie del singolo e, assai probabilmente, anche dell'intera collettività.

Il celeberrimo disegno fa parte di una serie di 80 incisioni che l'artista pubblicò nel febbraio 1799, intitolata I capricci (Los Caprichos).
L'opera destò talmente tanto scandalo nella società spagnola dell'epoca da essere ritirata dal Tribunale dell'Inquisizione dopo solo due giorni dalla pubblicazione
L'"intento di mettere a nudo con immagini lucide, aspre e taglienti altrettante varietà di vizi, bassezze, aberrazioni e superstizioni diffusi in Spagna, così da denunciarne la brutalità e promuoverne la sconfitta" non fu particolarmente apprezzato*.
Malgrado il destino poco fortunato della serie, il capriccio 43, il sonno della ragione genera mostri, di cui si discute in questo post, ha avuto, invece, parecchia diffusione.

Cosa succede, secondo Goya, quando si smette di ragionare?

L'incisione mostra pipistrelli, gufi, civette, una lince...tutti animali notturni inquietanti che circondano il personaggio dormiente (un intellettuale, forse Goya stesso) non sappiamo se a sua insaputa o meno. Possiamo infatti interpretare quel sueño  come sogno (in spagnolo vuol dire sia sonno che sogno) e ritenere che sia la ragione stessa a generare quelle mostruosità perturbanti (ma mantenendosi comunque in una dimensione onirica, tale per cui tutto ciò che è razionale può anche essere irreale, alla faccia di Hegel!).

Anticipando l'inconscio freudiano di cent'anni, l'idea geniale di Goya è che, nel momento in cui la ragione viene meno, irrompono delle creature angoscianti, che potrebbero mettere seriamente in pericolo la vita umana.

L'indietreggiare della morsa raziocinante causa l'avanzare di quelle nottole che sembrano in agguato, più che sopraggiungenti sul far del crepuscolo, come fa la filosofia per Hegel.
Le nottole qui per Goya non compiono il loro giro quando la realtà si è già avverata, ma svolazzano proprio quando il discorso razionale si interrompe ( o forse non è mai avvenuto).

Chissà, forse il pensiero del pittore spagnolo era che sogno e ragione si dovessero compenetrare a vicenda, superando la dicotomia in modo che non ci si debba sentire costretti ad abdicare a nessuna delle facoltà intime dell'essere umano, che magari non è nato per calcolare, ma per capire come stare al mondo, talvolta sognando, talvolta ragionando.

In ogni caso, qui l'intellettuale dorme. E i mostri avanzano.

Chiudo questo post che non vuole affermare con nettezza alcuna tesi, ma solo divagare di nuovo un po', dopo tante settimane di mutismo, inserendo un breve passaggio hegeliano, che può fare da contrappunto al capriccio di Goya:

"Nulla è più frequente e consueto del lamento per l'irrealizzabilità degli ideali: fossero, a far valere il loro diritto, gli ideali della fantasia o gli ideali della ragione, essi non sarebbero comunque traducibili in realtà, e specialmente gli ideali della gioventù sarebbero dalla fredda realtà abbassati allo stadio di sogni.
Questi ideali, che nel viaggio della vita naufragano e periscono sugli scogli della dura realtà, non possono anzitutto che esser soggetti e appartenere all'individualità del singolo, il quale vede in sé la realtà più alta e intelligente di tutte (...).
L'individuo si fa spesso un'idea personale di sé, delle sue alte intenzioni, di magnifiche imprese che egli dovrebbe mettere in atto: si fa un'idea propria dell'importanza che la sua persona avrebbe, e su cui egli sarebbe autorizzato a contare, servendo essa alla salute del mondo.
Tali immaginazioni son condannate a restar lì dove sono.
Di se stessi si possono sognar molte cose, che poi si riducono a un'idea esagerata del proprio valore. Può anche accadere, certo, che così resti sacrificato il diritto dell'individuo: ma ciò non riguarda la storia del mondo, a cui gli individui servono solo come mezzo per il suo progresso. "
(G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia)


Il "sogno" della ragione, in questo discorso hegeliano, potrebbe essere un ideale solitario e, pertanto, non dotato della forza necessaria per diventare reale.
Solamente ciò che è razionale, per Hegel, potrà realizzarsi e moltissimi ideali si riveleranno esagerate sciocchezze che non nuoceranno al corso del mondo, ma solamente all'equilibrio psicofisico del singolo, hegelianamente immaturo a sostenere il peso del freddo e logico meccanismo dialettico.

L'individuo per Hegel è solo un mezzo, spesso ignaro di un processo storico che lo sovrasta.
Il singolo, dunque, non ha effettivo potere di compiere isolato alcuna rivoluzione, perché, di fatto, la sua razòn è sempre parziale ed insufficiente?
Il cambiamento avviene solo se c'è un gruppo coeso ed organizzato che non si inganna circa il proprio effettivo valore di cambiamento, perché può contare davvero molto più di un singolo, rapidamente ignorato?

Soltanto il gruppo, in buona sostanza, può essere sovversivo?

In certe fasi della mia vita, avrei esitato a dire di sì.

Tuttavia forse ha ragione Hegel, il "NOI" precede il singolo e quindi solamente un intero genere di appartenenza (classe sociale, classe lavoratrice, genere sessuale/storico etc,.) ha speranza di modificare il corso dell'esistenza, avvalendosi magari di quei rari fari che hanno compiuto sforzi giganteschi solitari per manifestare con passione la loro visione critica del mondo ed hanno saputo modificare la visione altrui, contagiando la sete di giustizia.

Chissà, magari anche chi leggerà dopo di me questo blog e le mie stupide utopie non trovandole stupide, forse sarà capace di unire insieme ad altri egualmente interessati le forze che servono per contrastare questo fallimentare sistema socioeconomico e politico che genera infelicità e diseguaglianza, chiamato capitalismo.

Potrebbe consolarmi pensarlo, ma non è che vanità.
La politica non si fa qui.
Non scrivo in ogni caso più, perché mi sembra un esercizio asfittico ed autoreferenziale e poco capace di incidere nel mondo dei pixel e neuroni atrofizzati in cui abitiamo.

E però, caro Georg Wilhelm Friedrich , "chi viene alla luce illumina", come diceva Nicolò Fabi. E illuminando, talvolta, salva.
Concludo citando un altro cantautore, anzi, IL cantautore per me, che commentava così il significato del suo album, Anime Salve:



Anime salve trae il suo significato dall’origine, dall’etimologia delle due parole “anime” “salve”, vuol dire spiriti solitari. È una specie di elogio della solitudine.

Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito. Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri.

Con questo non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo né dell’eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti, o gli anacoreti; è che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita (non è che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’identità), credo di averla vissuta; mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura. 


Verrebbe dunque da chiedersi chi siano veramente i mostri da temere...

Grazie Faber.

  

*Poco tempo dopo Charles Baudelaire colse la carica ferocemente critica e di denuncia dell'artista spagnolo, parlando di "sabba della nostra civiltà" per indicare l'opera compiuta efficacemente da Goya:

«Frati che sbadigliano, frati che gozzovigliano, facce squadrate di assassini che si preparano a mattutino, facce astute, ipocrite, aguzze e malvagie come profili di uccelli rapaci [...] streghe, sabba, diavolerie, bambini arrostiti allo spiedo, che so? Tutte le dissolutezze del sogno, tutte le iperboli dell'allucinazione, e poi tutte quelle spagnole bianche e slanciate che certe vecchie perpetue lavano e preparano per il sabba, o per la prostituzione della sera, il sabba della nostra civiltà!» 
Charles Baudelaire


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