"… nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni."
Aristotele, Etica Nicomachea
Anxiety del film Inside Out 2, 2024 |
Esiste una formula magica con cui si può disancorare la propria esistenza da un tachicardico stato di tensione perpetua verso obiettivi sempre più pressanti ed inaggirabili?
Ci si può liberare dall'affastellamento di "maledettissimi impegni", quasi fossero ciliegie velenose che non concedono alcuna tregua nel loro richiamarsi vicendevolmente, uno dopo l'altro?
Da qualche settimana, assisto inerte alla mia vita che va a rotoli.
Come il Po, esonda gli argini sconsideratamente, senza giudizio, guidata alla cieca da un eroico furore pedagogico e da un inattaccabile senso del dovere, e sempre meno sorretta, invece, da un'aspirazione salda al piacere, che non sia quello riversato nella gioia dell'insegnamento e del contatto con le mie allieve ed i miei allievi.
La furia, in fin dei conti, in questa fase della mia vita è rivolta principalmente (e comprensibilmente, poiché si tratta dell'anno di prova) al conseguimento di un buon profilo lavorativo. Sono incombenze da cui mai potrei sottrarmi, stolto lamentarsene, anche perché non lavoro in miniera e la trasferta a Bagheria anche il sabato mattina è un sacrificio decisamente risibile rispetto a quello operato dalla stragrande maggioranza della popolazione lavoratrice.
Ma forse è giunto comunque il momento di riconoscere che sono per natura portata a superare il limite, perché amo troppo questo mestiere. E rischio di trascurare i miei affetti familiari, che amo infinitamente ( sebbene ultimamente potrebbero pensare il contrario), così come quelli amicali, che diventa una chimera riuscire a coltivare.
Pagherei per una giornata di disoccupazione? No.
Ma spero davvero che tutto ciò che non riesco a curare quanto vorrei adesso, non si senta abbandonato e mi aspetti.
Perché c'è una vita oltre l'ansia, ne sono sicura, io l'ho conosciuta, amata moltissimo, ed intendo riprendermela.
In questo post, comunque, parlerò proprio di lei, signora ANSIA, sovrana assoluta delle nostre vite occidentali tardo capitaliste, riportando mie stupide congetture elaborate prima di cedere al sonno qualche giorno fa, su un taccuino logoro e che qui ricopio fedelmente:
ANSIA , dal latino Anxia, derivante dal verbo ango, che vuol dire stringere, soffocare.
Come potremmo definirla, senza consultare testi di psicologia, ma cercando di procedere in modo "fenomenologico"?
Beh, direi che è uno stato d'animo relativo al futuro, legato ad aspettative che potrebbero essere deluse. Si entra in ansia quando aspettiamo qualcosa o qualcuno che tarda ad arrivare e ci innervosiamo, ipotizzando scenari connotati negativamente, financo apocalittici.
Prevediamo cose eccessivamente tragiche. "Oh mio Dio, ora chissà cosa farà!", oppure "Oh Signore, e adesso che farò?", immaginando reazioni a pericoli che sono ben lungi dall'essere reali, ma che come tali vengono percepiti.
Non si può avere ansia per il passato, né per una cosa che accade ora, perché è l'ignoto che genera ansia, sia che accada tra pochi minuti che tra mesi o anni.
Non si governa e perciò crea timore. Disturba il sonno. Guasta il ritmo della vita. Funziona come una strozzatura che non permette al fluire della vita di scorrere placida, senza intoppi, allontanando il gusto gioioso per il presente.
Da bambini conosciamo benissimo la paura, emozione primaria che ci preserva dal pericolo.
Solamente dopo, in età puberale- come insegna il film Inside Out 2- si introduce quest'emozione secondaria speciale, che si nutre dell'attesa del riconoscimento.
Mentre la paura protegge perché arriva qualcosa che può effettivamente ferirci, l'ansia teme che qualcosa, al contrario, non giunga, che non si manifesti. E suppone che cosa accadrebbe se la mancanza si verificasse, in che maniera si reagirebbe ad un vuoto.
In un caso, si patisce che qualcosa possa accadere (la morte, la malattia), nell'altro si patisce temendo che non si verifichi affatto o per come l'abbiamo in mente, ma riguarda un possibile con cui facciamo i conti sperando di trovarlo per via.
Non si ha l'ansia di dovere morire. Ciò che mette ansia è qualcosa che rigonfia le attese, ciò per cui si nutre un misto di timore e di desiderio (assente nella paura).
Stranota è l'ansia sociale, quella relativa alle sofisticate e stritolanti aspettative intorno alle proprie prestazioni ed al giudizio che verrà elargito intorno ad esse.
Questo tipo d'ansia è la condizione in cui vivono tutti coloro che devono essere interrogati, che preparano esami di maturità o universitari, concorsi etc. O che devono andare al primo appuntamento amoroso, o ad una festa in cui sperano d'incontrare colei/colui che abita nei loro più intimi pensieri.
E proprio questo confuso sentimento di agitazione può fare brutti scherzi, togliere il respiro, rovesciare le condizioni agendo contro le migliori intenzioni del soggetto ansioso.
Ci vorrebbe DISTACCO, ma è proprio quello che il soggetto che vive d'ansia non riesce a darsi da solo.
Tuttavia, è solamente una frattura, un'interruzione di questo vortice che ci fa pensare costantemente "Devo fare questo", "Devo fare quello", "E se non faccio questo", "E se non faccio quello", che può guarire.
Respirare.
Meditare.
Riappropriarsi di un movimento contrario allo sgraziato muoversi senza tempo. Essere di nuovo a tempo. Quel tempo delicato, che dissolve ogni presa stritolante e ci riconduce alla nostra imperfetta, ma ritmica, dimensione umana.
Abbiamo dei limiti e necessitiamo di riposo, sonno che ristori e plachi l'irruenza del fiume e lo riconduca nel suo letto.
Come rendere possibile questa interruzione benefica, che ripristini il nostro fluire interiore al riparo dall'ansia?
Dirò solo due semplicissime e macroscopicamente banalissime cose:
1) Accettare la possibilità del fallimento, senza considerarlo un dramma o una dannazione raggelante.
La fame di perfezione ci conduce all'ansia, ma non dobbiamo essere perfetti. Dobbiamo essere buoni. E tollerare la nostra imperfezione, trovando in essa un che di comico e dolce. Nonché di universale. Siamo uniti dalla nostra fragilità e finitezza. E non siamo mai i soli a doverla affrontare.
2) Rifiutare ostinatamente la solitudine come vocazione.
Come ha mostrato la scorsa domenica la bellissima ultima puntata della stagione della trasmissione di Iacona, Presadiretta, la nostra è l'era della solitudine , in cui si muore soli sommersi dai rifiuti, e gli stessi amici si noleggiano, scelti su un catalogo in base alle proprie affinità.
Il modello giapponese non è lontano. Ci sono più persone che vivono da sole a Milano che a Tokyo.
L'isolamento produce l'ansia. Il pensare che gli altri ignorino le nostre tristezze e timori, la percezione dell'invisibilità, la follia di credersi al riparo dal mondo nell'inferno della propria psiche, ebbene, tutto questo produce proprio la tempesta perfetta di ansie e cataclismi ansiogeni devastanti, da cui tutti noi, a qualunque età, dovremmo cercare di tirarci fuori.
Ci sono tante persone in carne ed ossa che desiderano trascorrere il tempo con noi gratis, ma preferiamo dimenticarlo.
Eppure, solo il ritorno all'amicizia, la vera philìa greca su cui ha tentato di costruirsi la nostra società occidentale, potrà salvarci. Ansiosi e non.
C'è sempre tempo per vedere un'amica o un amico. Chiamiamoli!
Ecco, chiamami❤️
RispondiEliminaLo farò con immenso piacere Mari bella! ❤️
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