Si può non essere "social" oggi?

 

Tramonto a Macari.
 Perché dovrei scrivere un post su capitalismo e dispositivi social davanti a cotanto splendore?



Sanvito, festa della Repubblica.
Perché dovrei farlo davanti a questa meraviglia?


Ebbene sì, ho trascorso un fine settimana con la mia famiglia immersa nella bellezza.

Per qualche giorno intenso e sacro, sulla nevrastenia che governa mediamente le mie giornate e sulla sgradevole ricerca costante di visibilità ("supplicare di esser popolari" cit. Baustelle) che accomuna buona parte del mondo occidentale, hanno prevalso la sete di natura, di purezza, di sole e di calore, le risate, i gioiosi simposi con compagnie più che piacevoli, stimoli a restare desti e trovare negli incontri le più autentiche aperture all’infinito.

 Oltre i pixel e le opinioni banali da blog, oltre le foto, la risibile ansia di condivisione e di approvazione nella vita fittizia virtuale, che è solo una maschera di cui non occorre curarsi troppo, esiste una meravigliosa vita reale che va difesa e assaporata con intensità.

Ma va?😛

E però è successo che venerdì, mentre le pupe sguazzavano in un mare incantevole e cristallino, benché gelido, avevo dimenticato il cellulare in macchina e mi sentivo nervosa e parecchio infastidita per l'impossibilità di fotografare l'acqua trasparente sanvitese di giugno e i colori che solo la Sicilia possiede in tutto l'universo.

Vergogna!

Privi, anche solo momentaneamente, di tutte quelle protesi quotidiane che ci portiamo appresso, ci si ritrova ormai disorientati e sperduti. 

E lo so, bisogna trovare il modo per accettare i cambiamenti e abitare la propria epoca nel modo migliore, come diceva il buon vecchio Hegel su cui ogni tanto si può anche non sputare, e quindi non ci si deve aggrappare a un irritante dogmatismo moralista, che è insano ed irrazionale. 

Ma mi dispiace, quest'epoca che mi ospita non mi piace un granché e non aspirerò mai a sviluppare chissà quali competenze digitali, né, soprattutto, a coltivare dimensioni inesplorate tecnologiche, perché mi fanno abbastanza paura e le ritengo in parte responsabili del nostro decadimento cognitivo e morale.


Ho avvertito allora sempre più profondamente l'esigenza di disinnescare le dipendenze, cercare sobrietà, sparire in un altrove lontano dalle malattie della società, dai suoi tormenti, dalle sue agghiaccianti espressioni di patriarcato, violenza, crudeltà e dilagante narcisismo. 

Ma come ci si può fondere con l'universo, dimenticando che muore una donna ogni tre giorni e quest'universo umano in cui vorrei perdermi è, in realtà, una minaccia oscura e pericolosa, per figlie, amiche, sorelle, cugine, zie, madri sventurate e offese dall'idiozia che non potrà mai essere perdonata?

Di chi è la colpa? 

Educazione, società, apatia psichica, certo. 

O forse, per dirlo ancora più sinteticamente, dell'assuefazione al disumano. 


La mancanza di pensiero − l'incurante superficialità o la confusione senza speranza o la ripetizione compiacente di «verità» diventate vuote e trite − mi sembra tra le principali caratteristiche del nostro tempo.",

Hanna Arendt, 1958

Con buona pace della povera Arendt che si rivolta nella tomba, possiamo dire che, quasi settant'anni dopo, questa caratteristica sia diventata la cifra della civiltà occidentale.

Inutili sono stati tutti gli avvertimenti forniti sul suo declino, superflue tutte le cure per la povera Europa agonizzante.

Man mano che il pensiero diventava sempre più piccolo e inconsistente, cresceva a dismisura una massa amorfa di pixel, di opinioni incontrollate e di nuove tecniche di controllo fondate sul connubio dissoluto tra capitalismo e tecnologia.

Nel suo bel libro “Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia”, Carlo Carboni, professore universitario di sociologia, parla di osmosi tra società e tecnologia e della conseguente multidimensionalità del quotidiano:

Il fatto che la società giri assieme alle NT (Nuove tecnologie) come fa la realtà con quella virtuale, comporta che l’individuo si rapporti con molte dimensioni (civica socioeconomica, politica, culturale, tecnologica) tra loro fortemente interconnesse, perda attenzione nel multitasking e si senta spaesato per la frammentarietà e la multidimensionalità dell'esistenza.  In questi dedali, la soggettività smarrisce riferimento identitario e appartenenza al gruppo, anche nei casi nei quali quest’ultimo sia analiticamente a essa affine. Sembra questa la sfida lanciata dalla multidimensionalità e dall’ambivalenza, proprie della condizione sociale tecnologica odierna.

 L’individuo spaesato, senza punti fermi né forti convincimenti, è alla ricerca di un nuovo centro di gravità sociale.”






Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente


Il mutamento antropologico di cui parlava Pasolini quasi cinquant'anni fa, si è ormai pienamente compiuto. 

L'invasione del potere nella sfera intima e personale, connotazione imprescindibile di ogni regime totalitario, si è realizzata pienamente anche nelle nostre democrazie europee, attraverso una nuova, capillare e costante COLONIZZAZIONE DEL QUOTIDIANO.


Da decenni, infatti, i mercati  hanno iniziato
 
"una sistematica colonizzazione della società e dell’economia dei consumi, con social network e poi con app a ripetizione (...) Poco è rimasto delle creative intuizioni di McLuhan e Negroponte, dell’Intelligenza collettiva di Pierre Lévy o di quella inter-connettiva di Derrick de Kerckhive. 
Nessuna nuova comunità è stata creata che dia un senso nuovo agli individui, formando un soggetto collettivo coinvolgente."


A questo esempio così aberrante di umanità che non pensa e lascia che emerga solamente la bestia che abita nel suo patrimonio genetico e nelle sue più ataviche angosce, ci siamo gradualmente così talmente abituati, da non riuscire più a provare davvero vergogna.


Cosa siamo diventati? E come diventeremo?

Ai posteri l'ardua sentenza. 
Nel frattempo, cerco di salvare i colori nella mia memoria e spero anche qualche straccio di umanità.



"Una civiltà non crolla come un edificio; si direbbe molto più esattamente che si svuota a poco a poco della sua sostanza finché non ne resta più che la scorza", Georges Bernanos





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