FUORI CONTROLLO

 Rapida riflessione di qualche tempo fa sull'insensatezza del desiderio di controllo


Di tutte le miserie umane la più amara è questa: conoscere così poco e non avere controllo su niente.
(Erodoto)

 

Il controllare è un verbo estraneo alle radici dell’umanità. 

Vorrei vedere la citazione in originale per capire che verbo abbia usato Erodoto.

 Controllare non è un verbo greco. Deriva dal francese “contròler”, contro il registro, apportare conti, riscontrare, insomma bisogna diffidare di questo verbo asettico, parente di cifre, numeri, sigle che poco hanno a che fare con la vita.

 Con quella vita nuda e sacra per come l’avevano intesa i primi uomini, almeno.

L’esercizio di valutare attentamente cosa effettivamente può dipendere da noi, ciò di cui siamo “causa” per dirla alla greca, e cosa invece non può che sfuggire alle nostre deliberazioni è certamente alla base della saggezza. 

Anche i Greci temevano l’infinito, l’indeterminatezza, ciò che sfugge ad ogni presa, esattamente come noi. Ma avevano ben presente, almeno i più illuminati tra loro, che esistevano due tipi di misura per cercare di accedere alla Misura giusta (il mètrion) delle cose, allontanare l’apeiron e maturare una sana pienezza, contraria all’eccesso e al difetto.

 La giusta “misura” prevede quindi due momenti di misurazione.

 Il primo è più simile a quello che comunemente intendiamo oggi, in fondo, anche con il verbo controllare, perché rinvia al misurare quantità, dare conto quindi di oggettive questioni che possono essere sotto gli occhi di tutti e consentono di disporre di strumenti adatti alla loro verifica.


Ma esiste un’altra forma di misura, un altro tipo di misurazione che non si avvale di metri, bilance, criteri “oggettivi” per esplorare ciò che va misurato, ma si appella ad un qualcosa di continuamente indisponibile, che si sente e basta, e che va tutelato perché, se non si tiene in considerazione questa rete valoriale di difficile esplicazione, ne va dell’intera comunità. 

Se si sbaglia, cioè, questo tipo di misurazione rivolta a qualcosa di non direttamente visibile, ma che pure si fa avvertire nella sua forza e condiziona l’assetto stesso dell’intera vita comunitaria, anche la misurazione del primo tipo risulta inesatta ed il misurato risentirà di un’operazione poco accorta perché incompleta.

Il nostro mondo si è impoverito di tante delicatezze che avrebbero impedito precipitassimo così ineluttabilmente verso l’abisso.

Rinunciare al doppio misurare fa parte di questi preziosi doni smarriti, che occorrerebbe tornassero alla base della buona politica. 

Ogni buon governo di qualsiasi gruppo umano dovrebbe sempre appellarsi a questa duplicità per effettuare le sue valutazioni/misurazioni, perché non basta la quantità, né la qualità da sola può fruttare alcunchè. 

C’è anche un episodio dell'ultima stagione di Boris che si intitola così: la qualità non basta.

E lo stesso discorso penso valga per il “governo” di sé stessi, che siamo molto poco “individui” solitari, dal momento che conteniamo moltitudini da tenere insieme con una certa fatica. 

Qualsiasi giudizio che maturiamo sul nostro modo di essere andrebbe osservato, dunque, congiungendo aspetti quantitativi e qualitativi, in modo da non danneggiare l’armonia complessiva della nostra città interiore.

La consolazione che può offrire la lingua è immensa. 

Lì possiamo ritrovare molte molle per portare avanti le misurazioni senza soggiacere all’ansia di controllo, che dimentica la misurazione più difficile del secondo tipo.

 Nelle parole degli altri, lette, rilette, interpretate diversamente, così come di quegli altri che siamo i noi stessi di qualche anno fa, possiamo ritrovare punti di appoggio su cui imbastire le nostre misurazioni, mantenendo sempre lo scarto con la Misura definitiva, con quella misura di cui non esiste misura.

 Scopriamo che c’è un incommensurabile che ci accompagna sempre, quel fiato tenebroso sul collo della Morte che annulla, ma anche la grazia perturbante dell’immensità che ci sovrasta facendo di noi delle canne pensanti. 

Ed in questo bilico eterno, tra l’essere insetto calpestato ed annientato in un soffio e il sentirsi un gigante che svetta in cerca di compagnie divine, tentiamo volta per volta di azzeccare la misura giusta, che, per essere tale, dovrà mantenersi flessibile, pronta ad essere cambiata in un’altra occasione.

In linea generale, comunque, per essere più concisi, potrei dire:

Con ordine, affronta il disordine; con calma, l’irruenza. Questo significa avere il controllo del cuore.(Sun Tzu)

Ma non esiste alcun controllo possibile, non dovrebbe più esistere proprio il desiderio di controllo

Si dovrebbe riuscire a vivere accettando sbagli, misurazioni precarie, nuovi sbagli e tante vallate assolate di pura soddisfazione contemplativa. 

Ed assaporando il piacere immenso di esserci, amare, sognare, scoprire, creare, generare, stancarsi e rigenerarsi fino all’ultimo respiro.

Preferisco, quindi, concludere con Einstein, che ha saputo dirlo certamente meglio di me:

Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.

Let’s dance!

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