SOCIAL E CAPITALE. La mia -breve- vita senza facebook


Proverò a descrivere l'astinenza (obbligata) dall'unico social in mio possesso, durante la quale sono sorte alcune banali riflessioni intorno al rapporto che i social hanno con il Capitale.

Giorno 1 

Interruzione di un automatismo. Le dita digitano in modo del tutto irriflesso "facebook" sul pc e sul telefono (no, mai avuta l'app).

Non avere visione rapida del sentire comune nella caverna sembra strano. Ma quel "comune" è solo apparente, perché gli algoritmi determinano chi io debba vedere e da chi debba essere vista.

Non è come affacciarsi da un balcone su una piazza e potere assistere agli imprevisti del caso, ma come guardare dentro un condominio dove ci sono, gira e rigira, sempre le stesse facce.

Ho tanto lavoro da fare ed è anche un bene. Inizia a fare un gran caldo ed il tempo perduto a scrollare potrei impiegarlo a fare il maledetto cambio stagione. O a fare una passeggiata. O un'ennesima relazione finale.

Mi dispiacerebbe far pensare a qualcuna e a qualcuno che li abbia cancellati, ma se leggeranno il blog, scopriranno che si è trattato di espulsione.

Quel post farei bene a cancellarlo, comunque, perché l'idea dell'ostracismo mi sembra sempre più ridicola. Nessun complotto. Avrò fatto qualche fesseria, quella era una  truffa e, condividendola, avrò allertato il sistema che mi ha espunto.

E insomma sono un glitch.

Giorno 2

Penso sia giunto il momento di cogliere la  palla al balzo ed iniziare ad attenuare la mitomania.

Fuori dalla vetrina, avrò l'obbligo di curarmi davvero della mia esistenza. Renderla autentica. Non divaricare più il dualismo ontologico (Platone esci da questo corpo!) come ho fatto dal momento in cui mi sono "iscritta" a questo dannato social (ormai sedici anni fa).

Mi aspetto grandi cose: se di dualismo ontologico - platonicamente o meno- dovremmo parlare, non sarebbe finalmente più divaricato. L'apparire e l'essere torneranno più facilmente distinguibili e sarà possibile ragionare meglio. Non consumare più la vita teoretica in una valanga di pixel, ansia e contatti virtuali non virtuosi.

E, soprattutto, potere diventare  per le mie fanciulle un buon modello di coerenza e responsabilità.


Giorno 3

Ma che bellezza ignorare quella piattaforma! Ho trascorso questa festa della Repubblica in beatitudine, senza dovermi concentrare su banalità rapidamente rimosse, ma godendo senza aggressività tutto ciò che mi accade, circondata dai miei affetti in carne ed ossa, sotto un cielo assolato e con tante risate, dileguando l'ansia per il lavoro da completare e per tutto il mondo che si sgretola.


Giorno 4

Peccato non avere più la liquida consolazione del contatto lieve con quelle facce virtuali. Non è che abbia tanto tempo da dedicare ad esso, eh, anzi, attualmente non ne ho proprio, però era una distrazione spesso gradevole ritrovarsi a leggiucchiare notiziole, condividere opinioni sul genocidio in atto, ipotizzare forme di protesta efficaci o scrutare suggerimenti di canzoni nella piazza virtuale. 

Soprattutto facebook, per quanto omologante sia ("Auschwitz dell'anima", avevo scritto tanti anni fa), rimane una vetrina molto potente ed efficace per diffondere messaggi ed eventi di varia natura.

Non dimentico l'uso che ne ho fatto con il gruppo di Muovi Palermo quindici anni fa. 

Ma non è quello il mio mestiere. Non devo promuovere alcunché.

La morte è il vero rimosso di fb, in quel perpetuo presente che ti serve anche quotidianamente ricordi lontani, in calce ai quali magari non puoi neppure più leggere i commenti, perché gli autori di essi- tuoi amabili amici- sono morti.

Come una nebulosa permanente in cui non è concesso mai svanire davvero, facebook è un esperimento di eternità assai precario, che non corrisponde però certamente alle intenzioni del suo fondatore Zuckerberg.

 Più che riflessioni filosofiche, il quarantenne americano con un patrimonio di 228 miliardi di dollari, dalla sua creatura ha fatturato soprattutto un Capitale immenso che lo ha reso terzo- o quarto, dipende dalle fonti- uomo più ricco del pianeta.

Pensare di poter cogliere l'infinito su una piattaforma che connette rapidamente "facce", mantenendo in vita anche i fantasmi, annullando tempo e distanze, inquinando a dismisura, insomma, è una consolazione bizzarra e molto magra per la nostra finitezza, ma, forse, se penso a quanta poca eticità ormai dilaghi intorno, è quello che ci meritiamo.


Giorno 5

Facebook che?

Giorno 6

Per le nostre vite esauste di lavoratori infelici dell'era tardo capitalista, i social rappresentano il narcotico perfetto.

Distrarre ed indurre banali piaceri momentanei che mascherino la ricerca di un bene più grande, non reperibile nel mondo virtuale - e forse neppure in quello reale-, sono le attività portate avanti abilmente in un campo che si è testato per decenni nell'ambito pubblicitario (vedi la superba serie "Mad men" che ho dovuto abbandonare al momento, ma merita una lunga scorpacciata che farò appena sarò finalmente libera!) e che richiama la capacità tutta umana di potersi assuefare ai messaggi, lasciandosene manipolare per acquistare e mantenere in piedi la macchina capitalista.

 Anche i social sono pieni di inserzioni e pubblicità, ma il lavoro di plasmare e creare dipendenza agisce su un piano più profondo ed ancor più pericoloso. 

Se la pubblicità serviva ad aumentare i consumi, i social servono a consumare quel poco di umano che ancora rimane in noi. Dal rimanere abbagliati davanti alle vetrine, in cerca del prodotto più originale e prestigioso, siamo passati al rimanere intrappolati nella vetrina, in cui siamo noi i prodotti che gli altri possono scegliere se consumare o meno, con estrema rapidità.

Società dei consumi e società dello spettacolo hanno trovato nei social il loro detonatore ideale per mercificare definitivamente l'essere umano ed imprigionarlo in una rete virtuale che lo condanna ad essere un fascio di dati, governato dagli algoritmi.

La doppia gabbia capitalista-tecnologica di cui tanto ho parlato in questo blog si chiama democratura tecnocratica e fa paura, sembra una distopia, ma è in atto da almeno quindici anni.

Se le democrazie stanno collassando, se cresce il desiderio di ordini nuovi, insomma, è perché abbiamo preferito non pensare e non parlarci davvero più.

Così, stanchi e logorati dalla produzione che annienta il nostro tempo libero, abbiamo trasformato giorno dopo giorno lo spazio pubblico della discussione in una piazza virtuale, dove la potenza si traduce in aggressività gratuita perché, tutto sommato, non c'è alcun rischio reale, non si corre alcun vero pericolo, se non quello di essere espulsi, cacciati, dissolti nella propria identità di pixel, foto, feeds, status e reels.

Il che può fare anche male, malissimo, specie quando i confini tra realtà e virtualità non si percepiscono più.

Chi ci guadagna, davvero, in una situazione così preoccupante di narcolessia ed esibizionismo smisurato? 

Come sempre, il padrone dei mezzi di produzione, che oggi è colui il quale detiene il monopolio dei "beni" divenuti più indispensabili, ossia i social.

Boicottare, allora, forse può diventare una strada di resistenza.

Ancor di più, riprendersi la parola nella vita vera. Come?

Andando a votare al Referendum l'8 ed il 9 giugno, tanto per cominciare.

E poi, ovviamente, preferendo organizzare incontri de visu, quando e se possibile, oltre lo schermo ingannatore e manipolatore.

Resistere!

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