LAVORO E CAPITALE

 Riflessioni sul senso del lavoro nell'era tardo-capitalista occidentale

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il quarto Stato, 1901


ARTICOLO 1:
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.".


Che conquista immensa! 

Dopo secoli di ingiustizie ed oppressioni,  da ottant'anni tutte/i uguali di fronte alla legge, tutte/i nelle condizioni di salire sulla famigerata scala sociale e solo attraverso il proprio lavoro.

 Perché il lavoro e solamente il lavoro, come sapeva Marx, distingue l'uomo dalle altre specie viventi.

Lavorare è un diritto e, come ripetono dal palco del concertone oggi, dev'essere sicuro. Di lavoro non si dovrebbe mai e poi mai morire, eppure ce ne sono state e ce ne sono stati troppe e troppi di lavoratrici e lavoratori morte/i sul posto di lavoro (solo nel 2024 addirittura 1481) e non è ammissibile, non è accettabile.

Non dimentichiamo poi che, anche quando non uccide, lavorare stanca, stanca parecchio.

Anche nell'era tardo-capitalista occidentale, che consente potenzialmente a ciascuna ed a ciascuno di sviluppare talenti personali ed assecondare insindacabili vocazioni, il lavoro nobilita di rado. 

I percorsi per raggiungere i traguardi lavorativi sono lunghissimi e molto, troppo spesso si è costretti a scegliere mestieri di ripiego. Per questo, il lavoro il più delle volte corrode energie vitali, fa naufragare antiche passioni, presentandosi con quei tratti di alienazione dipinta così bene da Marx e che è ciò contro cui il vecchio Karl sapeva bene che si deve combattere di continuo. 

Quel diventare alieni, altri, stranieri nella propria vita e nella stessa propria occupazione, che, a partire dalla rivoluzione industriale e dall'avvento del sistema di fabbrica, si è resa sempre più ripetitiva, monotona, estinguendo progressivamente qualunque gioia legata al processo lavorativo.

Perché l'obiettivo principale promosso nell'Inghilterra della seconda metà del Settecento non era proprio risparmiare la fatica oggettiva del corpo del lavoratore per affrancarlo dall'affanno brutale, ma piuttosto accelerare il processo produttivo.

 Per dirla in breve, aumentare il Capitale, non tanto migliorare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori. 

In ogni caso, il cambiamento è stato epocale ed irreversibile (almeno fino a che non ci sfracelleremo del tutto). E mai esente da critiche.

Sono passati più di tre secoli, infatti, ed il luddismo, la voglia di scagliarsi contro le macchine, ree di avere disumanizzato il lavoro e portato disoccupazione e malessere smentendo le promesse di progresso e felicità, è una corrente segreta che serpeggia da allora. 

Spesso può essere equivocata per una miope demonizzazione del progresso, eppure il problema relativo alla dignità del lavoro rimane; anzi, oggi è più attuale che mai, pensando a quanti lavori - compreso il mio- sono a rischio per l'utilizzo dell'IA.

Pericolo tecnologico a parte, quante/i oggi riescono comunque a fare lavori che veramente amano? 

E quante/i riescono ad essere retribuite/i in modo adeguato?

 Il paradosso della nostra epoca è che certi lavori poco rischiosi e molto poco faticosi vengano strapagati, mentre la maggior parte dei mestieri che può considerarsi pericolosa per la salute fisica e mentale del lavoratore, non gode eguale "prestigio", ricevendo per giunta paghe spesso molto modeste.

Anziché ribellarsi a quest'evidente ingiustizia che contraddice un altro articolo fondamentale della nostra Costituzione, l'articolo 4, che recita così:

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

rimaniamo inerti, forse perché questo legame intrinseco tra Lavoro e Capitale annebbia la convinzione che il primo debba perseguire il progresso materiale o spirituale della società. Perché il Capitale fattura oggi con oggetti, idee e messaggi che di etico non hanno nulla, ma mantengono vivo il mercato di brand, cosmetici, integratori e persino armi. Altro che progresso materiale o spirituale della società! Quindi ben vengano le influencer e gli influencer, che guadagnano più di un architetto o un professore!

Se queste dinamiche vanno avanti da decenni, in fondo, è perché abitiamo uno stato di totale indifferenza al destino altrui. Anzi, l'indifferenza viene incoraggiata dal mondo borghese, che lascia volentieri indietro chi non sta al passo, chi non si adegua a questa produzione improduttiva forsennata, che raramente conduce alla felicità.

  D'altra parte, può un borghese riuscire davvero a capire ciò che è oltre il suo ristretto orizzonte?



Ripenso al film di Carrere Tra due mondi , tratto dal romanzo autobiografico di Florence Aubenas, che ho visto l'anno scorso. Qui viene trattato l'atavico problema della borghesia che, quando è più "sensibile" e desiderosa di attivarsi sul piano della giustizia sociale, capita che si avventuri in azzardati tentativi di colmare lo iato tra la sua condizione e quella di chi, comunque, rimane altro, difficile da avvicinare e comprensibilmente restio a farsi osservare come una bestiolina di cui prendersi cura solo in maniera temporanea, salvo poi tornare ciascuno al proprio posto.

A chi piace, del resto, essere considerato un fenomeno da baraccone?

Gli sguardi possono anche non essere sprezzanti, essere capaci di non trasmettere derisione né scherno, ma quasi sempre rimangono ammantati da un'irriducibile ideologia borghese che cerca di insabbiare l'arroganza nascosta nel pensiero "ohmioDio,che degrado!Macomefaiaviverecosì!" con stucchevoli moine e frasi di circostanza sulla mancata attenzione da parte dello Stato nel fornire attenzione e cura anche ai margini della città.

I mondi, insomma, per quanti ponti si possa cercare di gettare, sembra rimangano incomparabili e separati irrimediabilmente.

Anche la mia personale esperienza con le periferie qualche anno fa posso dire sia stata un fallimento, perché non ha inciso affatto nel tessuto comunitario come avrei desiderato.

Tuttavia, mi ha costretto a rivedere profondamente il tenace pregiudizio di avvicinarmi ai "periferici" con un atteggiamento di non confessata superiorità.

Avere avuto una sorte più benevola non mi rende sicuramente migliore, solamente più fortunata. Anche se questa consapevolezza, purtroppo, sfuma miliardi di volte al giorno, riempiendo la testa di clamorose futilità.

Non esiste nessuna vita inferiore. Nessuna vita è minuscola, ciascuno, ovunque nasca, ha valanghe di cose da raccontare. 

Il punto è che c'è un'oggettiva differenza di condizioni di partenza che determina differenti qualità della vita. E i borghesi raramente se ne accorgono. Sono tutti coglioni, come diceva Gaber.

 Non così erano, per fortuna, i padri costituenti, i quali con l'ultimo articolo che cito in conclusione, il mio preferito, l'articolo 3, hanno saputo evitare l'equivoco che l'uguaglianza potesse essere soltanto formale e non sostanziale:

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


In conclusione, il lavoro oggi mi sembra essere diventato solamente una rincorsa individualistica al profitto (il più delle volte, alla sopravvivenza) personale, perdendo così la sua dignità più grande, che è quella di nobilitare l'uomo e la donna attraverso il contributo al progresso materiale e culturale che con le loro mani ed il loro ingegno possono realizzare nella comunità in cui vivono.

Buona festa del lavoro a tutte/i!

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