Queste sono le slides estrapolate da un discorso molto rapido, didascalico e banale, che ho consegnato ieri su facebook con il nome "ADDIO ALLE ARMI", per commentare il triplice omicidio di Monreale.
La lettura che ho fatto è troppo borghese. Segnala il mio ancoraggio ad una mentalità che è infarcita di stereotipi e non tematizzerà mai a sufficienza il privilegio in cui è abituata a muoversi, come se fosse una consuetudine universale.
Nell'affrontare la violenza, bisognerebbe rifuggire tanto il determinismo che porta a considerare aprioristicamente dannato o sospetto chi vive in specifiche zone, quanto la facile visione bonaria di chi pensa che tutti possano essere redenti e ben formati dai giusti modelli.
Non sono più ottimista come un tempo. L'ottimismo è crudele (per citare il titolo di un libro che presto leggerò), ingannatore e genera progresso solo per chi se lo può già permettere.
La scuola spesso educa solo chi non ne ha bisogno. Non è necessario continuare a nascondere il più evidente dei paradossi pedagogici. Anzi, non dobbiamo più occultare che i paradossi, soprattutto negli ambiti cruciali dell'esistenza, sono continui e che è proprio di paradosso in paradosso che sarebbe più saggio osservare la realtà. Perché è con i paradossi che dobbiamo avere a che fare il più delle volte. Ed a questi dobbiamo avvinghiarci con le unghie e con i denti per non diventare rigidi censori o dispensatori di informazioni elaborate istantaneamente ed in modo lineare come una IA.
Siamo farfugliamenti e ipotesi intrise di dubbi. Le verità chiare e distinte sono di quei robot in cui il razionalismo di Cartesio, pace all'anima sua, ha finito con il trasformarci.
Non esiste verità lineare. E men che mai di un fenomeno come la violenza è possibile saturare la dimensione, estinguerla, dissolverla. Forse si può solamente alla meno peggio contenerla.
C'è, in definitiva, un modo per affrontare la violenza, spiegarla, scavare nelle sue cause per imparare a conoscerla, riconoscerla e prevenirla?
Può bastare un invito al disarmo, un attacco al capitalismo, un disperato appello ad educatori e istituzioni politiche perché facciano la loro parte e non consegnino alla malavita senza speranza quelle ampie porzioni di umanità perennemente trascurate, ma che alla prima buona occasione sono sempre ottimo bacino di voti e di mercati nerissimi?
Non lo so.
L'umanità forse si divide tra chi si pone la domanda o domande come questa e chi neppure ci prova a pensare che un altro modo di essere, non violento, solidale ed accogliente soprattutto con gli ultimi, sia possibile.
E non perché siamo migliori delle bestie e delle piante, ma perché possiamo sempre scegliere da che parte stare e cosa fare della nostra vita, cosa seminare e cosa custodire.
Possiamo sempre, insomma, fare economia della violenza, come direbbe Derrida, e ripensare a quanti giudizi oltremodo violenti pronunciamo, separandoci dal resto invisibile dell'umanità, quel resto che non ha mai manifestato con saggistica, mostre o conferenze di volere essere ascoltato, ma da decenni e decenni aspetta che ci accorgiamo che esiste e conta tanto quanto noi in questa misera, paradossale esistenza.
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