ALICE VA AL MERCATO

Inserisco un'altra scheggia remota (datata sempre 2008) del progetto incompiuto su Alice che avevo messo qui alice-nel-paese-delle-illusioni.html

 

“Perché un vedere non si vede e lo si intuisce solo a partire da ciò che si racconta del visto?", si chiedeva Alice, ricordando la lezioncina imparata qualche anno prima ad un corso di scrittura creativa dal professore Jacobs, che con tono minaccioso ammoniva:

“Solitamente scriviamo solo ciò che vediamo, con lo sguardo interiore dell’immaginazione e del ricordo, oppure  con quello che si finge fenomenologico e raccoglie qualcosa di esteriore, sforzandosi di descrivere una realtà, che rimane comunque assolutamente non oggettiva.

 Adesso, dovete sforzarvi di creare il nuovo”.

Non era mai riuscita a creare niente di buono e, dopo le prime tre lezioni, aveva deciso di interrompere ogni rapporto con il professore e tutti i suoi detestabili allievi. Cercava di ricordarsi i nomi, ma la sua mente era brulla, anzi arida come un deserto, quando all’improvviso giunse in una piazza molto affollata e fu distratta dal vociare di un omino molto basso che le urlò:

“Problemi di vista? Quanta miopia, signora mia... Lei non vede bene i suoi ricordi. Deve indossare questi occhiali!” gridò il mercante, porgendole una montatura rosso carminio, luccicante al sole.

“Come dice, prego?” chiese lei sbigottita.

“L’ho sentita in difficoltà. Certi nomi non le sovvengono, ma non si dia preoccupazione. La mente si intorpidisce se non riusciamo a guardare ciò che ci interessa con la giusta prospettiva e talvolta abbiamo bisogno di un aiuto. È molto fortunata, signora mia, io sono qui per questo”, disse l’omino, con un accento vagamente napoletano.

“Se ci fosse un mercato dei sogni, comprerei dozzine di lenti che mi portino ad un passo dalle immagini non deformate dalla mia malinconia. Riuscirei a vedere finalmente da vicino le cause della mia gioia e del mio dolore, ricordando i tratti somatici, le espressioni e le luci posate sul viso di chi tanto amai e non ebbi forza di trattenere con me”, pensava Alice, senza osare prendere in mano quelle lenti.

“Signora mia- insistette il mercante-  provi ad inforcare queste lenti contro la miopia mentale, mi dia retta!”

“Mmm... E che sarà mai, va bene”, disse, quasi sorpresa di quel fare remissivo Alice. Ed in un attimo, appena indossate le magiche lenti, ricordò Giovanni e Alfredo, Edwige e la bellissima Patrizia, di cui si erano innamorati tutti quanti.

“Che fa, le prende, bella signora?” le domandò l’omino, accorgendosi dello stupore di Alice.

Cercò di congedarsi garbatamente con un “No, grazie, però sono state utili, lo ammetto”,  ma fu del tutto inutile.

“Faccia come vuole, mi dia qui- disse il mercante, riponendo le lenti sul lenzuolo bianco- ma sappia che presto vedrà male da vicino”.

“Ah, si?” chiese, con aria di sfida Alice.

“Sissignora. E queste lenti- sorrise affabulante l’omino, indicando un altro paio d’occhiali viola-, le prometto che cureranno ogni suo futuro astigmatismo mentale. Una volta presa confidenza con esse, le garantiranno visioni accurate di tutto ciò che è il suo presente, in modo da non costringerla a concentrarsi solo su quello che ormai è passato.”

“Il vicino mentale è presente, il lontano mentale è il passato ... già”, sussurrò Alice, un po’ interdetta.

“Mi sembra evidente, signora mia.  Ed anche il futuro può essere visto con le lenti che correggono la miopia. Chi indossa questi occhiali diventa scrittore, profeta…è gente che vive sempre con i pensieri altrove, insomma, ed infatti i familiari di solito arrivano infuriati da me perché, nonostante la rottura di tante paia di occhiali, il loro caro è provvisto di una scorta inesauribile. Non riesce più a farne a meno, creano una dipendenza inimmaginabile. E quanti mariti, fidanzate, madri preoccupate mi hanno chiesto di non venderli più, minacciandomi che adiranno alle vie legali…Troppi equilibri familiari, mi creda, vengono distrutti dalla scoperta del tempo mentale.” Disse il mercante, alquanto divertito.

“E come mai ancora non l’hanno denunciata?” ebbe l’impertinenza di domandare Alice.

“Ho regalato ad ogni componente della famiglia degli occhiali, signora mia. Ora parlano poco l’un l’altro, ma sono così felici!” rispose l’omino, muovendo indietro la testa piuttosto sproporzionata rispetto al resto del corpo.

“Ma chi si occupa delle cose quotidiane?”

“Sono stati licenziati, non lavorano più dove lavoravano prima, ma scrivono, inventano, poetano, filosofeggiano… fanno tutto ciò che nasce dall’avere confidenza con quei terreni invisibili della nostra mente. Se solo sapesse di cosa sono capaci…” fece il mercante, volteggiando con le mani, quasi volesse disegnare mondi inimmaginabili creati dai suoi clienti.

“Ma nessuno viene a restituirle le lenti?” chiese Alice.

“Oh, certo che sì! C’è chi non regge che per qualche giorno soltanto o al massimo poche settimane la correzione visiva e preferisce rimanere con una cecità preoccupante, pur di non ferire l’ordine della sua esistenza. Ma io non critico, ognuno ha il tempo mentale che desidera e merita.”

“Certo, capisco. Ma mi dica di più dell’astigmatismo mentale, chi ne soffre?” domandò, d’un tratto appassionata, Alice.

“Dopo qualche anno, proprio i miopi.- rispose l’omino- Non esercitando più la vista ravvicinata, perdono la capacità di osservare nitidamente ciò che accade nell’attimo. E di solito alternano le lenti. Un giorno gli occhiali della miopia, un giorno quelli dell’astigmatismo, etc. Ma è scomodo, inutile negarlo, infatti sto lavorando per mettere a punto delle lenti bifocali. Saranno un successo, vedrà. E dunque, cosa le do? Di cosa ha bisogno?”

“No, grazie. La proposta è allettante, ma io sto cercando il senso della realtà. E credo sia la realtà stessa a condurmi indietro, avanti e vicino al tempo mentale. Almeno, questa è la mia scommessa personale.” Disse, abbassando lo sguardo, Alice.

“Una sfida interessante. Passi da qui tra qualche anno e mi racconti com’è andata.”

Alice sorrise forzatamente e, senza dire nulla, proseguì oltre l’insolita bancarella.

Sapeva che non l’avrebbe rivisto mai più. Qualcosa di quel mercante la nauseava, forse la sicurezza che trasudava dai suoi occhi vitrei, quel pensare di avere scoperto l’invenzione salvifica dell’umanità.

 Ed Alice detestava da sempre ogni vincitore, era fatta così.

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