Donne sulla cresta dell'onda

 Ipotesi di un percorso FEMMINISTA: pensa come renderti e conservarti libera. 

“Great Wave”, xilografia di Katsushika Hokusa (1760-1849)

 “Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco possibile tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo” 
Carla Lonzi, Itinerario di riflessioni

 

 

Mi piacerebbe tentare un approccio filosofico alla questione femminista, che metta al centro la lotta ai numerosi stereotipi sempre incombenti riguardo le donne, quella "mistica della femminilità", grondante manie casalinghe che sono ben lungi dall'essere virtù (vedi post "Cambio di stagione"), ma anche tanto altro.

In una delle mie solite petulanti note facebook, appena quattordici anni fa scrivevo in commento ad un documentario di Lorella Zanardo:

 

Ho deciso. Io mi faccio la mia faccia.

Combatto la plastica, non voglio più vergognarmi della mia vulnerabilità e continuerò a provare sempre più insistentemente un confronto con maschietti capaci di mettere in discussione quella che- consapevolmente o meno, ed esacerbando o meno qualcosa che da secoli si è più volte ripetuto in ogni luogo del pianeta-, per loro sta diventando una seconda natura (alludo allo sguardo e all’istinto da macellaio).

Chi ha la colpa? Non è questa la mia domanda oggi.

È una domanda per le donne:

sappiamo trovare un punto archimedeo a prescindere dal consenso ricevuto?

Se ammettiamo la fragilità, non crolliamo inesorabilmente?

Chi siamo? Cosa stiamo diventando?

 

Questo si chiede fondamentalmente Lorella Zanardo ed è ciò che più mi preoccupa del mio sesso… e che ha portato più volte anche me, ed anche in tempi estremamente recenti, ad un passo dalla follia più totale.

 

Ma non esistono generalizzazioni che tengano, perché ogni donna risponderà in un modo unico a queste domande vivendo. Ciascuna ha una storia a sé. E se il sesso “forte” (ahhhahahh...altra ennesima ingiusta generalizzazione) imparasse a rispettare, con pazienza notevole ed attenzione, quale essa sia, forse potrebbero attenderci giorni meno peggiori, chissà.

 

Ci si “riconosce”, comunque, reciprocamente.

La peculiarità di ognuno è invisibile solo per chi non vuole soffrire e preferisce inchiodare ad una comoda definizione il vissuto, il sentire, la differenza irriducibile di chi ha di fronte.

E se questo vale per ogni tipo di rapporto tra due esseri umani, tutto ciò si complica nel confronto maschile-femminile.

Ciascuno ha il diritto ed il dovere, la responsabilità dunque, di non sprecarsi, colpevolizzando l'altro della mancata giusta percezione di quel che si è (meglio dire, ho imparato per sempre, si “diviene”).

 

L'identità è un cantiere aperto. Chi potrebbe dichiarare il lavoro finito non sarebbe più nemmeno un corpo, né un volto che emoziona, ma solo un mucchietto di ossa!

La società può essere oscena, i miti, le chiacchiere nauseare oltre misura. Ma non c'è alibi alcuno.

Sono insomma d’accordissimo con Lorella Zanardo. E so quanto sia estremamente difficile non solo impegnarsi a non vergognarsi della propria faccia- del proprio corpo in generale- accettando ogni vulnerabilità, ma trovare intorno il calore che concede di incominciare, continuare e non demordere da questa missione che dura una vita intera.

Auguri, alle donne e agli uomini con la schiena dritta, i volti flessibili ed intelligenza e sensibilità da raffinare di continuo, implacabilmente!

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Quelle domande continuano a rimanere senza risposta. Ognuna ha la sua storia e i suoi percorsi di liberazione che non vanno raccontati al pubblico nei dettagli. 

Ma mi sembra ci sia un'universale tendenza femminile a permanere non solamente nel mito patriarcale della donna angelo del focolare, ma anche nell'altrettanto sottile meccanismo della seduzione, soffrendo molto senza accorgersi che sia possibile disinnescarlo.

A 27 anni scrivevo, in uno dei miei tanti, orrendi tentativi pseudopoetici di venire fuori dal caos :

Non sento che voglia di ricominciare

Diversamente da prima

Ma certa che sarà peggio

Perché non ho più forze

Che non siano quelle

Della spietata decisione

Di debellare per sempre la seduzione,

Ipocrita, nefasta

E che pure

È stata la sola molla

Capace di regalarmi biglie di mare

Pugnetti di libertà

Stagni di rosee beatitudini

Che oggi condanno

Come vacue e luride ingenuità,

fondamenta ignobili della mia biografia.

 

Oggi penso che non ci sia bisogno di considerarle ignobili né di condannare la seduzione con questa durezza eccessiva.

Il problema è reale, ma viverlo con esasperazione non lo risolve.  Questo forse posso affermarlo con serenità adesso che ho quarant'anni, un compagno, due figlie e del giro della seduzione perpetua non me ne può fregare più de meno.

A tutte le mie compagne di ogni età ancora impigliate in questo gioco che talvolta diventa al massacro, spero non manchi mai la lucidità per riconoscere le zattere necessarie per non affogare nell’oceano.

Esiste una specificità femminile ancora da scoprire e tutelare dalla sua degenerazione sempre in agguato. Ma non c’è un modello unico cui rifarsi.

Certamente l’emancipazione non significa seguire il canone maschile, perché come diceva Carla Lonzi

"La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.

L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna.

La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli.

Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione. Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo"

 

Le donne non sono l’altro rispetto agli uomini, ma non sono, come non lo sono gli uomini, un’entità definibile una volta per tutte e che possa soddisfare l’estrema varietà delle loro incarnazioni.

Il nostro secolo è quello di Chiara Ferragni e di Barbara D’Urso, ma anche di Fabiola Gianotti e Barbara Gavallotti.

Oltre le gambe c'è molto di più, insomma, ma a volte non c'è niente, o quasi.

 E bisogna accettarlo.

 La vuotezza è trasversale e si può cercare di riparare il danno della lobotomizzazione avviata, impegnandosi a reperire buoni nutrimenti, in maniera tale che l'ossessione per le diete non sia solo per quelle alimentari. Ma non è garantita la guarigione.

Diversi anni fa, scrivevo (so che è patetico autocitarsi, ma è il mio blog, un po' di narcisismo e autoreferenzialità concedetemele):

Esistono svariati proverbi medioevali intorno alla negatività della donna, che reca soltanto guai e che, in un matrimonio, è vantaggiosa solo quando muore.

Altro che donna angelo. 

Ci sono sempre state contraddittorie visioni della donna, incapaci di rendere giustizia alla sua strabiliante natura che è preferibile etichettare come caotica e irrazionale per non tentare di scovare la grandezza nascosta oltre il ragionamento lineare (e prevedibile) che per lo più caratterizza le menti maschili.

Quanto la storia abbia contribuito ad acutizzare la reale insopportabilità femminile è ciò che mi chiedo spesso, cercando di isolare la fisiologia, gli ormoni, la necessaria tendenza a doversi occupare di ciò che è oltre lei a discapito di quanto più le vibra nel sangue come desiderio legittimo di autorealizzazione.

Povero sesso il mio. Eppure splendido, sofisticato, il solo nel quale potrei, scegliendo nel feto, voler vivere di nuovo. Una passeggiata di un’ora in un corpo maschile è probabile che mi basterebbe come esperienza. Ma non varrebbe una vita intera anche nell’organismo, nel cervello e nel cuore della donna più intollerabile che si possa concepire.

Questa è la sola distinzione valida su cui è legittimo disputare intorno all’umanità.

 Le etnie, le nazionalità, le religioni, i censi… tutte sovrastrutture o ininfluenti fattori che non marcano differenze radicali. Il maschile ed il femminile invece sono tratti incomparabili. Ed è qui che si gioca la sfida della vita.

 Banale, scontato, ma trovatemi un uomo e una donna che non vi abbiano partecipato:

 la bellezza, il fascino, l’affinità intellettuale, il collante delle esperienze condivise, la danza, le circostanze mielate di cibo e buona musica, il sesso… e oltre quello, nelle pareti interne di ciascuno rotolano polveri sottili del sesso opposto, che si dilettano a torturare chi le ospita, avvolgendolo nella trama del loro indiscutibile potere.

Questo potere a volte viene messo seriamente in difficoltà. Si tenta una rivoluzione.

Ma quando si lotta contro tutta la mascolinità insinuata dall’esterno dalla battaglia rischia di emergere alla fine solo il maschio che è in ogni donna.

È difficile chiedere ad una donna di abbandonare l’istinto da crocerossina. Ne è consapevole, lo sa perfettamente quanto sia sbagliato. Ma non riesce a rinunciare al bisogno di poter accudire chi dovrebbe essere virile, forte e garantire protezione. E non perché oggi il sesso forte è diventato debole e viceversa. È sempre stato così

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La vergine di Norimberga, conosciuta come "vergine di ferro". Erroneamente ritenuta di origine medievale, viene invece inventata nell'Ottocento.
Il nome del gruppo "Iron Maiden" deriva dal nome inglese di questa graziosa macchina di tortura.



Beh, che dire. C’è davvero una radicata tendenza femminile allo smisurato, al sacrificio, all’eccesso di cura altrui, alla sovrabbondanza di essere e generosità che, in una logica capitalista,  espone inevitabilmente le donne allo sfruttamento.

Ma se ad ogni dare femminile corrisponde di rado un ricevere equivalente, forse aspettarsi ricompense come fossero retribuzioni dovute, rischia solo di avvelenare il cuore di frustrazioni e rimpianti sterili.

Bisogna difendersi e lavorarci. E bisogna raccontare la singolarità.

 Questo forse è ciò che può disinnescare la prigione.

 Oltre le ondate che caratterizzano il femminismo, si dovrebbe parlare delle singole increspature e del tentativo di cavalcarle alla meno peggio.

Navigare, dunque, senza lasciarsi travolgere mai!

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