CAMBIO STAGIONE

Non mi si addice il ruolo di “angelo del focolare” (espressione, non a caso, tanto cara al ventennio fascista). Detesto qualunque tipo di attività domestica. Aborro senza riserve ogni minuto trascorso nel vano tentativo di sistemare ciò che le mie figlie distruggeranno in pochi istanti. Rigetto l’amore borghese per la casa lucida e le tende profumate. Non riesco a provare alcun piacere nello spolverare, sbattere tappeti e nel pulire i cessi e non trovo alcuna gioia nel fare lavatrici o riporre le pentole e i bicchieri dopo che la santa lavastoviglie ha compiuto il suo dovere. Non so stirare e non intendo imparare.
Cucino, faccio la spesa, sistemo e lavo quel che posso. Ma non sono una casalinga virtuosa, né mai lo sarò assai probabilmente, perché non riesco nemmeno a concepire “virtù” quelle domestiche, pur nutrendo una sentita ammirazione per coloro che si muovono con lievità tra le mille faccende quotidiane, senza restare inerti a proclamare scioperi inutili dalle attività che novantanove volte su cento comunque, ancora oggi, sono le donne a portare avanti. 
 Naturalmente non credo che le donne debbano venir giudicate sulla base di questi criteri, degradanti e sterili come quelli estetici, se considerati gli unici da tenere a mente per una valutazione della personalità femminile. Ma penso sia un retaggio culturale antico e assai sedimentato quello che insiste, invece, nelle menti di chi considera quasi "cose inutili" le mie compagne non dotate di queste qualità.

 Abbiamo tante anime, lati oscuri e solari. Ci sono giornate in cui può fare piacere persino a me passare l’aspirapolvere e cambiare le lenzuola, ma non giudicatemi inferiore se sostengo che tutte queste abilità non solamente esercitano su di me scarso fascino, ma mi presentano quasi sempre un conto amaro di frustrazione e fatica, che blinda le mie più intime peculiarità in una effige stanca, tramortita e spenta, nella quale non riesco a riconoscermi, non ancora. 
 Non sono fatta per queste “cose domestiche”. E non credo onestamente esista alcuna donna che lo sia. Quindi, per piacere, non chiamatele virtù. Sono obblighi, catene che non possiamo che trascinarci dietro, immaginandoci solo molto di rado come "Sisifi" felici.

 Riconoscete l’immensa stanchezza femminile, quel carico mentale e fisico che in certe giornate vorremmo disintegrare per sempre, ma poi torna inesorabile a mostrare la sua infamante condanna all’eterna prigionia delle donne, che rischiano di intrappolare anche ogni anelito al sacro e alla rivoluzione in uno stridulo e osceno gracchio di chi smarrisce Marx, perché accecata dal luccichio dell’argenteria. 

Bisogna avere sempre una comprensione attenta per le donne, esseri speciali di cui tutti siamo figli e che hanno diritto a manifestare il disagio avvertito in ogni atomo dei loro corpi e delle loro menti celestiali per quell’oppressione oggettiva che grava sulla loro libertà, senza temere ulteriori condanne di disapprovazione nel momento in cui tali pesi vengono dichiarati come eccessivi, se non insostenibili. 

E occorre anche dimenticarsi di questi appunti e vivere con leggerezza e allegria, con una solarità ritrovata e rinnovata per la gioia di essere qui ed essere insieme, impegnandosi a fiorire, appassire e rifiorire, tentando di non concedere al brutto, allo sporco e al marcio troppo spazio, per carità, ma senza nemmeno diventare paranoici in cerca di una purezza impensabile in qualunque epoca, del tutto impossibile, impraticabile in questa.
Salvarsi come si può. Odiando ogni volta, invariabilmente, il famigerato “cambio stagione” e le sue funeste implicazioni.

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