25 marzo 1983
Sono sempre stata qui. Qui,
accanto a queste fredde pareti sottili del bagno celeste.
Scroscia. L’acqua scroscia. I
vicini oggi si danno alle pulizie. È venerdì, l’unico giorno in cui la mitraglia decide di far loro una visita.
Porterà come al solito fichi secchi e un po’ di latte, commenterà il tempo, sempre
troppo umido, la maleducazione davvero inconcepibile
del suo primogenito e l’assenza di spazi per lo svolgimento tranquillo della
sua vita coniugale.
Poi, dopo alcuni clementi e
ingannevoli minuti di pausa, sceglierà di riempire il silenzio temuto con un
effluvio di parole sull’insostenibilità del ruolo della madre, bersaglio di
continue petulanti richieste da parte di una prole ingrata e, immersa nella sua
interessante concezione di differenza generazionale, non baderà all’espressione
sconcertata della vecchia, cui il solo evocare gli anni di convivenza con la
creatura produce ancora attacchi di panico incontrollabile. Mitraglia procederà,
perché attende tutta la settimana per vomitare ognuna delle sue innumerevoli
frustrazioni in quelle poche manciate di minuti e non le importerà nulla se la
madre, fingendosi concentrata a scartare il pacco di fichi, cercherà gli occhi del
marito nascosti dalla gigantesca montatura tartarugata per indurlo, sbattendo le palpebre come pattuito, ad alzare il volume della televisione, sintonizzata
sul servizio di gossip di metà pomeriggio.
Qualche meraviglioso scandalo
riuscirà a dar spazio alla voce del signor
Sinagra, che griderà: è una vergogna!
sollevando in aria il pugno serrato e quietandosi un attimo dopo, portando lo
sguardo oltre la tenda arancio alla sua sinistra, scoprendo vano, anche
stavolta, il tentativo di interrompere il flusso vocale della figliola.
Questo mi tocca sentire ogni
venerdì. Ma non è più un problema. È come se qualunque fonte di fastidio quasi non
la percepissi. Non sono più vulnerabile come un tempo, cerco di comprendere e
di giustificare, procedendo ad un’ironica constatazione dell’infelicità altrui
con la quale mi sento solidale come non mai. Sul serio, non avrei mai creduto
di conoscere la pietas, il senso di fratellanza per la cattiva sorte e
tutte quelle ragioni del cuore che albergano nei discorsi dei preti e nelle
prediche delle madri arcigne.
Io che mi infuriavo per un
nonnulla, io che ero pronta a sferrare giganteschi attacchi contro l’ottusità
del commesso che mostra l’aria annoiata ed infastidita davanti al cliente che
dovrebbe servire. Ricordi? Ricordi quante liti abbiamo avuto perché mi
rimproveravi aspramente quella che sembrava un’insopprimibile tendenza a
cercare rogna, quell’istinto incontenibile a misurarmi con piccole, infime ingiustizie quotidiane, quasi
trovassi sul serio un valido sfogo in queste minuscole bagarre per le mie più
sedimentate paure?
Dovevo perderti, amore mio,
dovevo trovarmi all’improvviso sola, vedere la mia anima scorticata in tutto il
suo sfacelo, soffrire infinitamente e imparare di nuovo a soffrire, e soffrire
di avere imparato e di nuovo imparare cosa è il dolore, cosa è la speranza.
Dovevo schiantare la mia memoria
pellegrina su un lastricato bollente, contare nelle lacrime l’attesa di uno
svenimento che non giungeva, fino a quando finalmente non avrei capito- perché
diavolo ci ho messo così tanto?- quanto sia dolce il prozac.
Ora va meglio, ora va tutto bene.
Un mese, due, tre. Un anno,
cinque, sei. E oggi so che rinascere è possibile. E voglio raccontarti come si
fa.
Incipit di un racconto scritto di getto quasi vent'anni fa, ritrovato casualmente nei miei ciclici repulisti. Lasciato in tredici anche questo, come tante cose nella mia vita.
E nulla ti appartiene ancora
Dice Nicolò Fabi.
E già. Gli inizi sono bellissimi, traumatici a volte, ma tutto sommato facili.
Solamente lo sviluppo può assicurare la grazia presagita nel cominciamento o, al contrario, condannare quest'ultimo a rivelarsi una trascurabile delusione.
Lo ritengo assai improbabile, ma magari un giorno lo continuerò. E forse riprenderò anche a scrivere qui.
Mai dire mai, caro blog, mai dire mai!
Per adesso mi getto a capofitto nella mia nuova vita da prof. Ho collezionato ben quattro collegi dei docenti e due riunioni dipartimentali nei primi sei giorni di servizio, ma per fortuna ho colleghe e colleghi straordinari, presidi e vicepresidi molto in gamba e stimoli a mai finire che mi aiuteranno a non sprofondare nel terrore dell'anno di prova e del didattichese sfrenato. Le mie scuole (ricordo sono tre) sono già iniziate, ma, dopo due giorni di messa a disposizione, per me finalmente domani si comincia con la parte più preziosa del nostro lavoro: la conoscenza dei ragazzi. Non vedo l'ora!
Buon inizio scolastico a tutte/i!
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