MEMORANDUM

Gertrud Kolmar (1894-1943) 


 IM LAGER (Nel lager)

"Quelli che s’aggirano qui sono corpi soltanto,
non hanno più anima,
soltanto nomi nel registro dello scrivano,
carcerati: uomini, ragazzi, donne,
e i loro occhi fissano vuoti
con lo sguardo sbriciolato, distrutto
per ore in una fossa buia,
soffocati, calpestati, picchiati alla cieca.
Il loro gemito tormentoso, il loro pazzo terrore,
una bestia, sulle mani e sui piedi, carponi
Hanno ancora le orecchie
E neppure odon più il loro grido:
La prigione distrugge, schiaccia:
nessun coraggio, nessun coraggio più per ribellarsi!
Stride leggera la sveglia spaccata.
Si affaticano come dementi, grigi, devastati,
separati dall’umanità variopinta,
irrigiditi, timbrati e marcati,
come bestiame da macello che aspetta il beccaio
e non conosce che il fetido truogolo e il recinto.
Solo paura, solo orrore nei volti
quando, di notte, uno sparo afferra la vittima…
e nessuno ha veduto l’uomo
che silenzioso in mezzo a loro
trascina la croce nuda verso il supplizio.",
Gertrude Kolmar, poetessa morta ad Auschwitz nella primavera del 1943

Quando iniziano a precipitare gli eventi? 

In che momento preciso si smette di avere controllo su di essi? Quando si abdica al potere di direzionarli?

Quando si sceglie di non mostrare più il proprio dissenso in modo aperto, non credendo possa avere effettiva capacità di incidere nella realtà?

Per quale motivo le tragedie accadono senza che si possa impedirle?

Chi le autorizza? Come si possono verificare ?

Siamo davvero impotenti o siamo solamente vigliacchi? 

Bisogna demolire il convincimento di non poter fare altro che accettare le atrocità come inesorabili, perché dietro esse ci sono sempre decisioni umane scellerate, politiche totalmente folli, ideali mortiferi e che  ripugnano - così, dovrebbe essere- qualsiasi essere umano, ma che riescono, tuttavia, a penetrare nelle stanze del potere e nelle milizie indemoniate, per provocare morte e terrore tra innocenti.

La distruzione inizia quando non ci si cura più di educare ad un netto rifiuto di qualunque posizione che consideri la guerra e l'annientamento dell'altro come un'alternativa, tutto sommato, sempre valida.

Per scongiurare le guerre, i massacri, gli stermini e i genocidi di ogni genere e tipo, bisogna smantellare tutte le fabbriche di armi,  ma si devono soprattutto, e prima di tutto, mettere a repentaglio tutte le coscienze che ancora trattengono in qualche oscuro anfratto delle loro strutture interiori una certa simpatia per le divise, i fucili e le bombe ed uno strisciante desiderio oscuro di aggredire il prossimo per vendicare immaginari torti e far valere presunte ragioni.

Ci vuole un'educazione fieramente antimilitarista. Ed è necessario un rinascimento umanista che torni a coltivare la sensibilità e l'amore per la vita, che ricordi a ciascuna e ciascuno di noi che esistono limiti che non vanno mai valicati e che la violenza non è mai la soluzione a niente.

L'abisso è alle spalle, sta accadendo adesso e sarà davanti a noi, se continueremo a blindarci in un disincanto cinico che non ci fa vedere come indispensabile spendersi a dismisura per formare generazioni profondamente rinnovate ed incapaci tanto di preparare l'oscurità, quanto di tollerarla come inevitabile.

Come si fa?

Ricordando, tentando di immedesimarsi con tutte le vittime, straziandosi per l'orrore che non conoscerà mai redenzione possibile, se non l'impegno inderogabile a lottare perché non si ripeta mai più. In nessuna forma.

A cosa ci serve altrimenti questa dannata memoria?




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