VENDUTA AL MONDO

 Nel nostro mondo occidentale che si avvita nella virtualità è difficile non provare mai, nemmeno una volta, un senso vago di disgusto e nausea per quel continuo sgomitare affannato, teso a raccattare qualche briciola di consenso, strappare un like, risultare fighe e fighi e lottare per mantenere un soddisfacente grado di accettazione, pena la scomparsa dall'orizzonte delle relazioni liquide, che da un paio di decenni pare siano le uniche che siamo capaci di istaurare e desiderare.


Dovremmo essere persone vere, autentiche, senza maschere, invece da decenni lasciamo che trionfi un'ipocrisia senza limiti. 
Recitiamo milioni di parti e particine al giorno perché abbiamo un bisogno forsennato, maldestro e del tutto insensato di piacere, combattendo ogni manifestazione sgradevole che potrebbe risultare imperdonabilmente sgradita. 

Questo noto dramma pirandelliano nei social si moltiplica a dismisura. Alle maschere abbiamo aggiunto avatar, filtri e decine di controfigure che rendono sempre più perduta la nostra anima. O, se non perduta, di certo sepolta dalle scorie di pixel ed evanescenti abbagli che non regalano alcuna duratura soddisfazione a nessuno, nemmeno ai teenagers.

Può esistere una società in cui tutti questi schermi, che sono diventate trappole espressive disumane, non siano necessari per stare al mondo?
 Può esistere una comunità umana in cui si ha davvero la libertà di essere ciò che si è, senza paura di non riuscire a vendere agli altri parti più o meno intime di noi, perché abbiamo bisogno del loro accordo?

In questo nostro tempo occidentale ipertecnologico (e siamo solo all'inizio) abbiamo spogliato persino la nascita della sua sacralità, della sua rigorosa, assoluta intimità che non dovrebbe essere data in pasto al mondo.

Si nasce circondati da molteplici sguardi di sconosciuti da sempre. Oggi quegli sconosciuti però sono diventati milioni di milioni e potenzialmente provengono da qualsiasi parte del mondo, purché abbiano una connessione internet e navighino incontrando le foto che ingenui genitori hanno immesso nel web per condividere la loro letizia con il mondo virtuale (è lo sharenting, baby, non c'è scampo).

Non manifestarsi non è reato. E si esiste anche senza apparire.

Ma questo vale solo in linea di principio, nella nostra società è quasi impossibile rinunciare ad ogni contatto e apparizione nel mondo virtuale, da cui si traggono sicuramente anche determinati piaceri autentici e, dunque, ormai l'ho imparato, non va demonizzato, concependolo come e peggio della caverna del mito di Platone.

In ogni caso, nell'era tardo capitalista si può dire che non si tratti più di venire al mondo, ma di vendersi ad esso.

Occorre accettarlo. Già, è tempo di ripensare diversamente il dramma dell'origine, la sua impenetrabilità misteriosa ed affascinante.

Non sono venuta al mondo, io sono venduta al mondo!

E mi sarebbe dovuto bastare poco tempo per capire che, anziché porgermi un accogliente "benvenuta", la mia società si sarebbe impegnata a farmi stare nel migliore dei modi solo qualora mi fossi  ben-venduta!

Purtroppo ancora non ci sono riuscita. Appartengo all'altro millennio, quando si credeva sul serio che ciò che avesse più valore fosse gratuito, arduo, profondo. E non necessariamente condivisibile.

E tu, che prezzo ti dai? A quanto ti vendi oggi?

La concorrenza è spietata, ma attenzione a non svendersi troppo!



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