VERTIGINE E DESIDERIO

 

Tramonto a Sferracavallo, 23 agosto 2023


Quando crediamo con forza a qualcosa che ancora non esiste, la creiamo. L'inesistente è tutto quello che non abbiamo desiderato abbastanza,

Franz Kafka

La creazione legata al desiderio impenitente è un'immagine kafkiana molto seducente, che sprona dall'abbrutimento e invita a riabbracciare Dioniso e magnificare la componente erotica dell'esistenza, trascurata a torto nelle fasi più buie della vita.

Tuttavia, se bastasse desiderare, anche con forza, qualcosa per creare mondi nuovi, saremmo tutti scrittori, poeti e musicisti e non mi sembra, purtroppo, che sia così.
Penso che il misterioso moto creativo possa spiegarsi molto difficilmente, ma nasca comunque quasi sempre da una dura contrapposizione, da un duello estenuante tra la vertigine davanti alla vastità delle possibilità offerte di dare forma alle novità e il desiderio totalizzante di opporsi all'inconsistenza o alla frammentarietà del progetto.

Custodire la vertigine dell'incomprensibile, legata all'affanno per non poter raggiungere mai alcuna completezza e non avere capito nulla nemmeno di essenziale, è una delle operazioni più ardue da portare avanti, che costringe a mantenersi inquiete/i e spaventate/i per la brevità e imprevedibilità della vita, per i fardelli che può capitare da un momento all'altro di dover trascinarci dietro, senza alcun preavviso.

Non è facile donare momenti di pace alla mente, rallentare il respiro e il battito vertiginosamente accelerato, promettendo di non deformare in alcun modo, mai più, la finitezza che ci spetta e tutto il dolore, il fraintendimento, il terrore di non essere in grado di fare mai abbastanza per gli altri, né di essere mai pienamente compresi, amati, sospendendo con forza la percezione di abbandono in un universo del tutto estraneo ed estraniante.

Di questa vertigine stritolante e che toglie il fiato si dovrebbe avere sempre una consapevolezza dolorosa, ma non paralizzante.

E decidersi quindi a remare contro l' Abgrund inaggirabile e che sempre ci precede, provando a svuotare la propria tonalità affettiva dei tratti più cupi per tornare a sentire profondi desideri di prossimità con il familiare e con lo straniero, rimettendosi in cerca di immagini, gesti e parole che avvicinino, di ponti che incoraggino a sognare mondi più giusti e lascino alle spalle l'angoscia della sconfitta o della resa.

Adulti (non necessariamente artisti) credo si diventi solamente quando si è capaci di accettare la sofferenza davanti all'insignificanza e all'incompiutezza umana, scegliendo di non permanere nel vittimismo.

Questo penso sia l'equilibrio a cui mirare. E in fondo è anche quanto diceva Cioran quando scrisse che "forse la follia è solo un dispiacere che abbia smesso di evolversi".

Dispiacersi è inevitabile. Non tutto può andare come avremmo voluto.
Qualunque sia la nostra sorte, per benevola che sia, lasciamo sempre che alberghi in noi un abisso invisibile di volti, discorsi interrotti, situazioni non chiarite che non troveranno mai una semplice spiegazione che convinca tutti i coinvolti, men che mai noi stessi.

Siamo umani, imperfetti e stritolati da questa necessità di arginare, contenere, non potere ospitare tutti e trovarsi perciò a far esplodere controvoglia qualche ponte teso verso l'infinito, come quando dopo una burrascosa passeggiata sulle montagne russe, si sente la necessità fisiologica di astenersi dal manifestare pronta disponibilità a rimettersi in sella, e si prova solo il desiderio di stabilità, terraferma, quiete.

La natura umana, almeno se non ci si rifiuta di vivere il rischio meraviglioso dell'autodeterminazione, conosce lotte come queste tra vertigine e desiderio, molteplici volte nel corso dell'esistenza.
E i sostegni per affrontare questi conflitti possono cambiare di continuo.

La musica, la poesia, i viaggi, i dialoghi con amici o, talvolta- nel mondo occidentale- anche con terapeuti o altri "direttori spirituali", possono offrire aiuti indispensabili.

Ma ricordiamoci di Seneca: Animum debes mutare, non caelum.
Certi tormenti rimangono ancora dentro di noi se si pretende che a cambiare sia solamente il mondo esterno e non il proprio, intimo, inafferrabile e inviolabile pianeta interiore.
E se non si accetta soprattutto che ciascuno di essi debba conoscere un movimento imprevedibile, la cosa importante è che si lasci fluire e non si arresti il suo sviluppo, cristallizzando con un'etichetta sprezzante un ricordo doloroso.

Il passaggio alla VIRTU' torno a pensare sia indispensabile per cercare di venire a capo di queste lotte inevitabili, senza sfinirsi oltre misura.
Ed è per questo che nei post che scriverò in futuro, confesso che mi piacerebbe parlare di virtù e del loro rapporto con il capitale, se possono ancora chiamarsi tali e non siano diventate, invece, qualcosa di diverso, trasfigurate irrimediabilmente dalla legge del profitto.

Ma ci vorrà del tempo, prima devo dedicarmi a tanto altro, mie care lettrici e cari lettori affezionate/i o casualmente capitate/i qui. Scusatemi, ma dovrete attendere un po', esercitando la virtù più nobile che è la pazienza.

Potete sempre (ri)leggiucchiare i numerosi, banali strali che in questi quattro mesi ho inserito in questo blog.

Anzi, se vi andasse anche di lasciare in calce ad essi qualche commento, meglio ancora se critico, ve ne sarei grata.

A presto!




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