DONNA, VITA, LIBERTA'


Foto tratta da hdonna-vita-liberta-il-grido-del-popolo-iraniano/


Che fortuna non essere critici di costume e sentirsi costretti a guardare oscenità da decostruire per spiegare al "pubblico" quanto marcio sia nascosto dietro un apparente, innocuo intrattenimento!
Sarà che, a parte qualche sempre più sporadica visione di "Un posto al sole" e rapida visione delle audizioni di "x factor" - debolezze che confesso senza troppo orgoglio- e le puntate di "Propaganda" e di "Alla ricerca del ramo d'oro" del bravissimo Edoardo Camurri (perle rare, che guardo su Raiplay), da tempo alla tv non chiedo molto altro, ma proprio non riesco a capire come certune/i riescano a sorbirsi i Ferragnez. E ancor meno riesco ad interessarmi alle critiche (anche se molto ben scritte) di questi personaggi, che possono perdere visibilità e capacità di influire per me esclusivamente in un modo: ignorandoli.
Finché continueremo a parlarne, avremo comunque fatto loro un grande regalo.
«C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé.» faceva dire Oscar Wilde a Dorian Gray.
Ed è a questo semplice mantra che in fondo si ispira la maggior parte di coloro che ottengono popolarità oggi nel mondo occidentale.
La vera demolizione io credo passi in certi casi dal silenzio, in modo da spostare l'attenzione su chi avrebbe bisogno davvero di fare breccia nella nostra sensibilità collettiva e spingerci a sostenere la loro lotta.
Mi riferisco per esempio a Nazila Maroufian, Vajiheh Hajihosseini, o Masih Alinejad, attiviste iraniane che lavorano costantemente per conquistare un briciolo di attenzione alla loro causa che dovrebbe bruciare nel petto di ciascuna donna e uomo occidentale non aderenti al sistema patriarcale.

Nazila Maroufian, giornalista iraniana di 23 anni, arrestata per un'intervista al padre di Mahsa Amini. Dal carcere di Erin, è in sciopero della fame da quasi una settimana.


Invece, ad un anno esatto oggi dalla morte di Mahsa Amini a Teheran, in seguito all'arresto per aver indossato in modo considerato sbagliato l'hijab,

dopo il clamore iniziale, come ha ricordato ieri a "Il cavallo e la torre" il bravo Marco Da Milano (per citare un'altra voce che ascolto in tv), intorno alla rivoluzione delle donne in Iran in Occidente è sceso il silenzio mediatico e il regime iraniano nel silenzio e nell'oscurità ha nel frattempo giustiziato 600 persone e incarcerato altre 22 mila.
Come ha detto Masih Alinejad, per manifestare vicinanza alla causa iraniana non occorre tagliarsi i capelli, ma bisogna isolare gli assassini e fare in modo che il regime terrorista iraniano venga abolito, con il contributo decisivo dell'Occidente.
"Vengo da un Paese dove avere un tatuaggio è un crimine.
Essere donna, mostrare i capelli, andare in bicicletta, cantare, viaggiare all'estero senza il permesso di tuo marito, ballare,
dire ciò che pensi, manifestare: tutto questo è un crimine. Anzi, non devi nemmeno protestare. Basta che tuo figlio protesti e che tu chieda giustizia perché tuo figlio è stato ucciso. Anche quello è un crimine.
Per questo l'ho tatuato qui. Per andare ovunque al Parlamento europeo a incontrare i leader europei e mostrarlo.
In Iran vieni ucciso se canti questo slogan: " Donna, vita, libertà": la rivoluzione è sanguinosa ed io sogno di vedere donne in tutto il mondo marciare per le donne in Iran e in Afghanistan",
Masih Alinejad


Potete ascoltare la versione integrale di questo nobile richiamo di Masih Alinejad alle nostre responsabilità occidentali nella puntata "Tatuaggio" de "Il cavallo e la torre"

Alla fine, è chiaro che spegnere il cervello e lasciarsi sedurre dall'idiozia dei Ferragnez sia la mossa più facile, meno impegnativa e perciò più diffusa.
Ma è proprio contro questa narcosi collettiva che bisogna andare, se desideriamo non sprofondare ulteriormente.
I cattivi maestri possono capitare, ma cercarseli è da stolti.

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