LA GIUNGLA IN CITTA'

 


Il corpo, l'ebrezza, la responsabilità

L'ignoranza sentimentale

La carne svuotata di significato

La giungla in città e soprattutto

La vittima sacrificale.


La debole, l'oppressa, l'inferiore, 

la preda eterna, di deliri e di violenze

Mai giustizia sarà compiuta per te, donna


Dai la vita, ti temono per questo

Ma la tua potenza riconosciuta anticamente

Viene masticata come un mito macchiettistico 

che mai più tornerà in auge qui.


Così ti arrabatti come puoi per resistere 

in questo mondo patriarcale,  ostile a questa definizione,

che regala ogni giorno a qualcuna di noi l'inferno.


E siamo tutte stanche, sfinite, costrette a trasformare la paura che possa accadere a noi o a chi amiamo tanto, in occasione di riflessione, ammonimento, solidarietà, ma senza credere più davvero che la redenzione maschile sia raggiungibile in poche generazioni.

Troppi maschi oggi, convinti di essere virili e forti tra rutti, grugniti e testosterone,

vuoti di riferimenti solidi e alienati nella loro infantile aggressività perenne, 

stanno tornando all'età della pietra, esercitando un'oppressione perversa e costante su tutte le donne con cui entrano in relazione, dal momento che ignorano la complessità che c'è dietro questa parola e fanno fatica estrema tanto ad elaborare un linguaggio che li affranchi da un deprimente gergo di conquista balorda, quanto a comportarsi in modo differente dalle bestie.

Quando il linguaggio si impoverisce, aumenta la crudeltà. E cresce a dismisura la voglia di distruggere e sottomettere, ridurre a brandelli la sacrosanta, insopprimibile libertà che, come ad ogni essere umano, compete anche ad ogni donna (lo sapeva e diceva benissimo Simone De Beauvoir ne "Il secondo sesso").

La libertà è in pericolo uscendo, rimanendo esposte all'accerchiamento del branco e sprovviste dell'aiuto che in città che non hanno più niente di "comunità" umane, ma sono solo fredde giungle di brutalità e nefandezze, come è ormai anche la mia Palermo amata, purtroppo non sopraggiunge a salvarti.

 Ma la libertà è in pericolo soprattutto dopo che la violenza è stata subita.

Perché questi osceni cappi di umiliazione e sopraffazione rischiano di cancellare ogni traccia di desiderio di riscatto in chi è già stata aggredita, sventrata, svuotata, depersonalizzata e per giorni, mesi e anni dovrà condurre un'esistenza smarrita e stordita dalle troppe chiacchiere intorno al trauma vissuto.

Così questi sedicenti maschi vincono sempre. 

Ti violentano. Ti deturpano corpo e anima. Ti annichiliscono. Ti condannano alla vergogna e alla follia perpetue.

E hanno anche il coraggio di dire che te la sei cercata.



"Il più violento e raccapricciante effetto dello stupro è lo smarrimento. La rabbia sarebbe benefica, la ricerca della vendetta sarebbe confortante. Invece no. È la solitudine la ricaduta prevalente. Così nessun giudice, nessun legislatore e pochissimi psicologi possono centrare l'essenza di questo crimine che modifica la storia di una vita. Gli aiuti sono solitamente inadeguati, spesso codificati e non personalizzati perché la ricerca della rinormalizzazione avviene tenendo conto di canoni comuni.
Non c'è risarcimento, non c'è soluzione se non quella decisa dalla vittima.",
Mina.
Perché orrori disumani come questo non si ripetano mai più, la lotta contro ogni rigurgito di violenza patriarcale deve essere permanente e trasversale, implacabile e senza sconti.

Per concludere, aggiungo quanto scritto oggi su fb:

"Rape is nothing more or less than a conscious process of intimidation by which all men keep all women in a state of fear."
Lo stupro non é  niente di più né di  meno che un processo cosciente di intimidazione, attraverso cui gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di soggezione

Susan Brownmiller nel 1976 pubblicò "Contro la nostra volontà", la cui tesi, rafforzata da una ricca documentazione storica, sociologica, giudiziaria, è semplice: lo stupro è una pratica di violenza ESCLUSIVA della specie umana, nata nella preistoria e mantenuta per esercitare un potere indiscusso su tutte le donne.
Gli stupratori non sono animali, non sono bestie, perché queste ignorano lo stupro.
Offendendo gli innocenti armaluzzi, misconosciamo le responsabilità di un patriarcato ostinato che perdura solo nella specie umana.
Non lo so se la violenza atavica si potrà smantellare definitivamente con l'educazione al rispetto reciproco fin dai primi vagiti dei piccoli cuccioli umani, con modelli culturali ispirati alle battaglie femministe, con una lotta condivisa e permanente per una società aperta e finalmente libera dalla paura.
Ma non penso ci siano altre strade da percorrere per far prevalere sul codice della giungla (che quindi possiamo ritenere , almeno da questo punto di vista, comunque meno pericolosa della città) quello di una comunità umana evoluta e liberata da antichi desideri di violenta supremazia machista.

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Torno a modificare per l'ultima volta il post, inserendo un'altra riflessione/chiosa su un argomento che comunque non potrebbe né dovrebbe venire archiviato, ma mantenersi pungolo che accenda dibattiti e costringa a rivedere posizioni retrograde e vomitevoli che purtroppo si riscontrano in modo molto più frequente del previsto.

Dal mio facebook di oggi, 30 agosto 2023:

Nella pletora di opinioni che anima la discussione pubblica intorno allo stupro e all’individuazione delle responsabilità -da cui sollevare la vittima credo sia la base minima anche solo per iniziare una qualsiasi discussione sull'argomento-, manca a mio avviso una banalissima considerazione.
Non abbraccio senza residui la lucida, fredda constatazione che dice che lo stupro è sempre esistito, ma fa clamore solo adesso che inizia ad essere denunciato.

Certamente è così. Ma avverto anche una profonda e preoccupante mutazione antropologica che mi fa inquadrare le recenti, atroci vicende più nel segno della "degenerazione" morale, che nel frutto di un sofferto coraggio- cui va tutta la mia ammirazione- di fare emergere il trauma.

E lo dico semplicemente facendo riferimento ai ricordi della mia adolescenza e gioventù.
Provo a ricordare i miei vent’anni, quando camminavo “con le tette al vento”, ubriaca e ritirandomi ad orari impensabili, senza mai provare la benché minima paura del sesso maschile.
Oltre alla mia incoscienza che, invecchiando, è venuta un po' meno, cosa è effettivamente cambiato?
Due cose, due:

1) La rete amicale: il senso di protezione con cui amiche e amici avevano cura del tuo destino, senza preoccuparsi esclusivamente di sé stesse e di sé stessi.
Si usciva insieme e insieme si ritornava. Se le strade ad un certo punto si separavano, poi comunque ci si rivedeva e, in caso di allarme, non era ammesso alcun venire meno ad un patto implicito, ma potente, che consentiva di divertirsi e sostenersi sempre a vicenda, per contenere le cazzate e per non avere nessun disastro nella coscienza. Veniva naturale, perché si parlava di più o perché crescere insieme prevedeva questo, non lo so, ma ancora “ai miei tempi” ci si comportava così.

2) La concezione del corpo femminile (ma non solo femminile) e del sesso.
Fino a un paio di decenni fa, recarsi ad un sexy shop costituiva una trasgressione che ti sbatteva in faccia un mondo scabroso, squallido e appiccicaticcio, che rendeva la pornografia un universo da relegare ad occasioni indimenticabili perché rarissime e sempre accompagnate da un profondo senso di vergogna.
Qualche femminista un tempo disse che la pornografia è la teoria e lo stupro è la pratica.
Non so se l’educazione sessuale (che io incredibilmente ebbi la fortuna di fare alle medie, per dire quanto era all’avanguardia la sgangherata scuola pubblica negli anni Novanta!) o una regolamentazione dell’accesso ai vari canali porno virtuali potrà mai modificare il corso di mercificazione totale del corpo, femminile e maschile, che va avanti da una ventina d’anni a questa parte e a velocità sempre crescente.

Ma quel che dovrebbe essere chiaro, almeno se proviamo a ricordarci i nostri vent’anni, è che nessuna adulta e nessun adulto, per quanto illuminata/o possa essere, potrà mai davvero risultare attraente nel proporre veti e proibizioni.

A vent’anni la misura la si cerca dentro di sé, al massimo nella cerchia dei propri coetanei. E guai se così non fosse, perché solo così è possibile creare la propria personalità.

Pertanto, penso che si debba osservare con lucidità e senza eccessivo moralismo una generazione che potrebbe essere veramente in pericolo ma dovrà, come tutte, salvarsi da sola.
Noi possiamo solamente ascoltare, parlare, specie se interpellati da "loro" e con loro, senza forzare una comunicazione che abbiamo lasciato franasse per farci i cavoli nostri, sedotti dal mito individualista / capitalista e quindi abbastanza in ritardo ormai per chiedere perdono delle nostre disattenzioni, e tuttavia pronti ad effettuare una svolta.
Per amore, solo per amore, perché alla fine solo quello può educare qualcuno, in qualunque epoca e a qualunque latitudine. Il resto è fuffa.




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