Caffé amaro.
24/febbraio/2003,
16:10.
Il bambino ha un cappello di lana
rosso schiacciato sulla fronte. L’ho osservato abbastanza perché
quell’espressione vagamente sorniona non m’ingannasse. Poche lentiggini sparse
su quel naso appena un po' storto e la linea ondulata di labbra quasi
raggrinzite, nonostante l’età. No, non ci casco, l’ho capito. Le palpebre, poi,
si chiudono ad intervalli regolari, ma talmente lunghi da dargli un’aria
inequivocabilmente fuori dalla norma, decisamente spiritata. Se non
fosse per quegli occhi color miele, potrebbe sembrare un folletto malefico
pronto a rubare il più remoto dei tuoi pensieri e portartelo via, per sempre.
È seduto qui di fronte a me, da circa
un’ora, in questa sala d’aspetto dove aspetto di non dover aspettare più. E per
tutto questo tempo non ha fatto altro che fissarmi.
Sua madre è
una donna assolutamente insignificante. Comune nei tratti somatici, comune
nell’abbigliamento, comune negli atteggiamenti, non si potrebbe credere sia
stata realmente lei a generare questo piccolo mostro insolente, che non mi
toglie gli occhi di dosso neanche per un attimo, Cristo!
Ho tirato fuori
la penna ed il block notes sperando che il mio inquietante osservatore mi
risparmiasse, avesse un minimo di pudore, ed il miele delle sue orbite coprisse
il male di cui si nutre da quando è venuto al mondo… Invece devo avere
solleticato ancor di più la sua spaventosa indole inquisitrice, dannazione!
Ora, certo, non smetterò di scrivere, non può vincere lui, ormai è una
questione di principio. Cerco di pensare ad altro, cerco di pensare ad altro, ma,
porca miseria, basta che sollevi un istante lo sguardo dal foglio e lui è
ancora lì, impietoso, sempre immobile…
Perché
continui a guardarmi, moccioso? D’accordo, tua madre, impegnata com’è a
sfogliare una rivista d’evasione per voler dimenticare tutti i mali del mondo,
non ti dà una sonora sberla come avrebbe fatto la mia, e si limita a dire ogni
tanto “Andrea, non fissare il signore” con quella voce piatta ed incolore,
senza interrompere la sua sacra lettura. Ma tu potevi portarti un videogame, un
“Topolino” o magari un pupazzetto con cui giocare, no? Accanto a me c’è un
signore sulla cinquantina, con un cappotto verde e un grande neo sulla guancia.
Fissa lui, piccolo mascalzone! Cos’è, non lo trovi abbastanza interessante? Se
per questo neanch’io lo sono, non ho niente di particolare… e il mio cappello non
è più buffo del tuo, anzi, mi spiace dirtelo, sta molto meglio a me! Già, prima
di uscire, guardandomi allo specchio ho pensato di essere, in fin dei conti,
ancora un bell’uomo. Dopo tutto, il cancro e i miei quarantasei anni non mi
hanno ridotto come il mio amico Antonio.
Lui sì che
è mal ridotto, e dire che gliel’hanno preso in tempo ed ormai è salvo, io,
invece
Meno male, finalmente mi chiamano. La
graziosa infermiera ha fatto capolino annunciando il mio nome. Che il diavolo
ti porti o ti riprenda, stronzetto, peccato doverti rivedere per forza quando
uscirò dal consulto. Magari, nel frattempo, avrai trovato qualcos’altro da
fare!
16:40
Nessuna sorpresa. Stavolta non ha avuto il coraggio di
dire una stronzata quello lì, che si fregia di essere il miglior ricercatore
della città nel campo oncologico, solo perché ha istituito per primo questa
sorta di “studio privato con assistenza ospedaliera, eccellente per affrontare
i casi di tumori più controversi”, e patapìm e patapàm….
In tanti modi avevo immaginato questo colloquio, ero
preparato, lo sapevo. E sono felice di provare esattamente quello che speravo:
ODIO, profondo, viscerale, in tutte le sue sfumature e con ogni atomo rimasto
vitale del mio corpo. Tiene in mano le radiografie ancora calde e mi guarda
costernato, sì costernato, dicendomi:
“Mi dispiace,
signor Plebani. Dal momento che lei ha sempre preteso la massima sincerità,
conosce già bene la sua situazione, per cui le parlerò in tutta franchezza…”.
Ma quanto è bravo
lei, dottore! Chiarezza, onestà, limpidezza! Queste sono le doti che rendono un
medico un “signor medico” e ne accrescono la fama, distinguendolo dai volgari
cialtroni…questa è professionalità!
“Purtroppo devo confermarle quanto i miei colleghi le
hanno comunicato. Nessuna novità, signor Plebani. Vede qui? Le macchie si sono
estese ulteriormente rispetto a quelle visualizzate nel fascicolo della
documentazione di appena una settimana fa…”
E sì, corre, corre
veloce questo tumore, nonostante frotte di medici preparati, accorti,
responsabili si siano dovuti arrendere a malincuore, rammaricarsi addirittura,
di fronte alla furia indomabile che ha preso il mio cervello portandolo alla
deriva! Quasi provo tenerezza per questo camice bianco, visibilmente provato
dallo sforzo, intascata la sua ultima parcella, mentre dice:
“Devo confessarle
con rammarico che se si fosse agito per tempo, oggi ci sarebbe qualche
speranza. Ma ora…”
Abbassa improvvisamente lo sguardo, il nostro dottore…
Forse ricorda, forse ha avuto finalmente un dolore lancinante in quella regione
umana a lui sconosciuta perchè con il suo studio - ahimè per lui - lì non vi è
mai giunto, il che, adesso, lo costringe a non poter neppure chiedere aiuto...
e già, perché io l’aiuterei volentieri se mi dicesse cosa le duole, dottore! Ma
come! Un uomo come lei, tanti studi e poi…coraggio, com’è che si chiama? Va
bene, non l’avrà studiata, ma ne intuirà l’esistenza, no? Professore! Non mi
deluda, avanti! Si sforzi, non è difficile…Glielo suggerisco io, oh sublime
taumaturgo: “coscienza”, si chiama coscienza! Come dice?
“ È troppo tardi.”
Ah, certo che
capisco, capisco perfettamente. Sì, sì, stia tranquillo, farò come mi dice, mi
circonderò dei miei più cari amici, “per congedarmi con la maggiore serenità
possibile.”
(Morire con il
nemico… Esperienza irripetibile, non c’è che dire!)
“L’importante è non perdere la calma e lottare con tutte
le energie rimaste, indispensabili per ottenere il meritato riposo con decoro e
umiltà encomiabili …”
Cristo, è patetico!
Da non credersi, dire boiate così clamorose, con quella sua aria paternalistica
insopportabile. Non è possibile, è indegno! Quanto lo odio, cazzo! Si è
dimenticato il nostro dottorino di avermi già avuto tra le mani, eh?
Non potrei perdonarlo mai. Come faccio? Come ha potuto,
come ha fatto a non accorgersene due anni fa? Non s’illuda, la documentazione
per una causa “dinamitarda” (ah!) è già pronta dal mio avvocato, caro
professorone, ma ormai è troppo tardi, per tutti e due.
Per colpa sua, schifoso assassino, ho lasciato che il
tumore mi divorasse il cervello per un anno intero. “Passerà questo malditesta,
passerà” mi dicevo… se era stato il più rinomato medico a pronunciarsi
positivamente sul mio stato, non potevo dannarmi inutilmente. Il lavoro, poi,
mi stremava: anno di promozioni, anno di cambiamenti... anche Sonia che mi ha
lasciato, a marzo mi sembra… No, non avevo proprio il tempo per fare nuovi
accertamenti, per consultare altre voci.
Ma prima dello scorso Natale, il 20 dicembre, il cugino di
Antonio ha insistito perché mi sottoponessi ad una trafila di esami nella
clinica che dirige in Germania. Non c’era bisogno di andare tanto lontano, né
di fare tanti esami: ne sarebbe bastato anche uno solo. Poche zone le metastasi
avevano risparmiato del mio corpo. Cominciò la guerra…
Sei ancora qui tu, ragazzino
demoniaco? Non mi distrarre, devo raccontare, ricordare ed incazzarmi a dovere
se voglio raggiungere il mio obiettivo. Ho declinato l’offerta di un
caffè da parte di cappotto verde, che, poverino, ha dovuto trangugiarlo in
fretta e furia perché l’hanno chiamato dentro. Eppure mi è dispiaciuto non
fargli compagnia, ha una faccia simpatica, sarà quel neo… Il caffè, poi, mi
manca immensamente, Dio, quanto mi manca! Non ne posso bere più da allora,
altro debito che quel bastardo pagherà. Sì, la pagherà, fosse l’ultima cosa che
faccio in questo porco mondo... E tu smettila di indagarmi, smettila di cercare
di capire perché ancora non sono tornato a casa, non puoi! La tua curiosità è
inopportuna, ragazzino. Cosa credi? Pensi che sia stato facile per me prendere
questa decisione? Non sono mica pazzo, io! So bene che l’uomo va dove lo
porta il pensiero, ed il mio è corroso dal cancro. Quindi, a differenza di
quelli che giocano a poker, ballano o questionano sull’aumento delle tasse, io so
che morirò. Mi sono misurato con questa consapevolezza più di chiunque altro.
Ieri mattina, ad esempio, davanti al mare ho tenuto gli occhi chiusi. Non lo
vedrei più comunque. Fare incetta di odori, sapori, piaceri, cercando di
aggrapparsi all’ultimo brandello di vita rimasto, mi sembra la più volgare
testimonianza di non aver capito proprio niente dell’esistenza.
Sonia diceva che puoi aprire gli occhi per
anni e anni sulla stessa nuda parete, ma avrai sempre una nuova sensazione. I
suoi studi filosofici e la sua salute di ferro, l’avevano convinta che il senso
nascosto nella vita di ciascun uomo fosse “il divenire”. Litigavamo
continuamente e detestavo che tirasse in ballo ad ogni occasione la mia
“mancanza di fiducia nell’inarrestabilità del flusso vitale”.
Così, quando, dopo aver visto un film
mattone sul terrorismo, le dissi che se non campavamo un giorno solo, era
semplicemente perché ventiquattrore non bastano per distruggerci totalmente a
vicenda, lei mi lasciò. Beh, non andò
esattamente così, ma le parole con cui lei rispose a questa mia ultima
provocazione furono talmente dure che nessuno dei due ebbe più la forza di
guardare in faccia l’altro, senza provare un irrefrenabile desiderio di
sputargli in faccia… Parole indelebili. Parole che una volta pronunciate
non offrono nessuna alternativa: “Disilluso, senza passioni, incapace di amare
e soffrire pienamente, sei completamente incapace a vivere!”. Questo pensava
Sonia di me dopo tre anni di convivenza, e, in fondo, aveva ragione. Chissà da
quanto tempo cullavo il mio piccolo cancro dentro di me, frutto di un ancestrale
tedio esistenziale! Ci ho riflettuto a lungo, e ho capito da dove nasceva il
mio costante disappunto alla ridda di argomentazioni che lei offriva
quotidianamente, a colazione, a pranzo, a cena e persino nella nostra intimità…
Imbeveva le nostre lenzuola di quella sua gioia dialettica, per cui anche una
cilecca era da accogliere allegramente, in nome della prossima splendida
prestazione, che, necessariamente, avrebbe seguito quella. E quanto si
gongolava quando le sue previsioni trovavano un riscontro nel mio sperma
lanciato a profusione contro il suo ventre ossuto! Nonostante questo, non ho
mai sentito l’istinto di strozzarla, e oggi so perché. Niente a che vedere con
un folle amore, di cui, come giustamente mi accusò, non sono capace. Ero
semplicemente talmente lontano dalla sua visione della vita, talmente
disinteressato a considerare esaltante il progetto, la possibilità di
plasmare le giornate secondo i propri talenti e le proprie aspettative, che
Sonia avrebbe anche potuto incatenarmi, impormi di accettare le sue
discettazioni e darle pienamente ragione (che, poi, era la cosa che più le
interessava) ed io avrei continuato ad irritarla con il mio “cinismo da quattro
soldi”, bollandola con freddezza di essere un’irreversibile idealista.
Quanto sarebbe felice di sapere che
finalmente la penso come lei. Già, tutta la storia del libero arbitrio, la
possibilità soltanto umana di essere un Dio o una bestia, ora che mi avvicino
precipitosamente alla mèta, so che non sono assolutamente soltanto dei
tentativi forzati di esorcizzare l’angoscia insopprimibile del tracollo finale,
no! Sono ciò che custodisce l’essenza più radicale dell’uomo, ora lo so, Sonia!
Che stupido sono stato a soffocare
un’intera esistenza nel grigiore del presente, schiavo degli ordini di parenti,
capi, amici, fidanzate… Esiste davvero la possibilità di cambiare le cose,
eccome se esiste! Opporsi al corso della natura, modificarlo grazie al nostro
intelletto, unico grandioso artefice della nostra sorte: questo è veramente umano,
e quanto è meraviglioso! Peccato, le avrei parlato volentieri di questa mia
“conversione”, facendo sicuramente un gran bene al suo profondo orgoglio
accademico. Ma lei non ha sentito neanche il bisogno di farmi una telefonata
dopo che Antonio l’ha incontrata la settimana scorsa, riassumendole quel che si
è persa di questo divorante anno e mezzo… Meglio così, non avrei tollerato la
sua compassione, no. Preferisco ricordarla tenacemente astiosa, mentre va via
sbattendo la porta con violenza disumana, tutta infervorata e accecata dalla
rabbia…un po’ come me adesso…
Non posso
crederci… continui a fissarmi! E’ incredibile! Cosa vuoi, piccola canaglia?
Cosa cerchi ancora? Non sono uno sprovveduto, ci ho pensato bene, ti pare! E
credo di avere capito cosa speri di ottenere da questo tuo miserabile
giochetto…Tu vorresti denudarmi, mettermi con le spalle al muro e costringermi
a tornare indietro, non è così? Spiacente, ragazzino, la decisione è presa,
e con tanta ponderazione che non sarà l’inquietudine che mi getti addosso a
farmi ritrattare. È questo il mio progetto, non si discute. E basta, non
mi guardare più! Non potevo prevedere che saresti stato tu l’ultimo, diamine!
Volevo aspettare che la graziosa infermiera raccattasse le sue mance e si
ritirasse a casa, alle 17.30, quando chiude lo studio… Né tu né cappotto verde
eravate calcolati, dovevo essere io l’ultimo, cazzo!… Ma capisci bene che non
sono nelle condizioni di chi può rimandare... Dovrò tollerare l’imperfezione
del progetto, Andrea, non posso farci nulla, quindi smettila di
tormentarmi, santo cielo! Se c’è uno che dovresti impegnarti a scrutare con
tanta indiscrezione, quello è sicuramente il sedicente medico che avrai l’onore
di incontrare tra poco, credimi! Provaci, cerca nel fondo dei suoi occhi
liquidi qualcosa che assomigli vagamente al rimorso, un qualche sentore di
pentimento… No, perderesti il tuo tempo. Deve morire, quel bastardo. Non sarei
qui, se solo due anni fa si fosse preso la briga di essere onesto, se mi avesse
detto che... Ma che parlo a fare! Ormai lo sai, creatura luciferina, non ci
sono più scappatoie da quest’inferno, né per me né per te…
Insomma,
vuoi smetterla di guardarmi in questo modo? Non ti stancherai di mantenere gli
occhi così sgranati? Giuro che se non temessi di essere scoperto, ti avrei gonfiato
da un bel pezzo, piccolo delinquente!
Oh, guarda
chi si rivede! Cappotto verde! È uscito tutto sorridente e baldanzoso,
prodigandosi in goffi ed affettuosi saluti. Era mostruoso solo a vedersi,
allora, quel neo… Bene, vada via di qui, infesti di gioia nauseante e
festeggiamenti del cazzo le strade della città…Sparisca! E tu cos’hai da
indagare ancora? Pur di continuare imperterrito nella tua attività demoniaca,
neanche hai risposto al saluto del nostro sanissimo amico, gran maleducato che
sei! Basta, non ti sopporto più, finiscila!!!
Ecco, finalmente, per fortuna tocca a
te. Ti saluto, piccolo diavolo, via, via…Cosa sono quelle lacrime, adesso?
Perché piangi? Questa poi… non guardarmi così, non piangere. Non piangere, che
cazzo piangi... Non guardarmi così, ti ho detto! Devo farlo…Non
guardarmi così, non guardarmi così…Ascolta tua madre, miseria! Non sta
sibilando, ti sta dicendo di andare, muoviti! Non-pian-ge-reee!!!
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………Oh,
se n’è andato. Sua madre gli ha tolto il berretto, scoprendo la pelata che non
lascia dubbi. Non avrà più di sette anni…
Ma che faccio, manca solo che mi
commuova! Ho poco tempo. Agire, bisogna agire, è il momento. Finalmente sono
solo, tutto va secondo i piani, nessun intoppo. Libertà, progetto!
Eccoli qui, in questo giocattolino che metterò lì, accanto alla macchinetta del
caffè… Un caffè… ci vorrebbe proprio, adesso. Ultimo caffè ed ultima sigaretta.
Alla faccia di Zeno!
17:15
Dieci minuti. Dieci minuti e tutto
sarà finito. Queste sono le mie ultime parole e non mi viene in mente nulla che
non sia il sapore di questo caffè, insopportabilmente amaro. Che diavolo ci
farà, poi, una macchinetta del caffè in un luogo come questo? Dovrebbero darti
camomilla, valeriana, magari del prozac, ed invece ci mettono un distributore
di caffè, questi idioti! Stanno bene nelle scuole, all’università, quelli, o
negli uffici. Aspettando che il braccio meccanico ti porga il bicchiere di
perforante liquido nero, ci si ferma a chiacchierare allegramente con colleghi,
amici ed amiche di stereoscopiche banalità. Ogni tanto, però, puoi trovarci
quello che ti recensisce il film proiettato nella sala più snobbata della
città, non segue il calcio, ha una dichiarata idiosincrasia per i matrimoni, ed
è fatta. A tipi come loro devo quelle splendide serate a Charlie Parker e gin, basate
sull’accordo esplicito di bandire ogni chiacchiera superflua. Ma presto le
conversazioni si ridussero a brevi frasi annebbiate, il silenzio cominciò ad
incutermi paura, e non volli frequentarli più. Alcuni di loro si sono fatti
vivi di nuovo appena pochi mesi fa - probabilmente su richiesta supplichevole
di Antonio - più deprimenti ed insulsi di quanto non ricordassi, simulando un
interesse mai emerso prima per la mia salute… Cosa ne sanno di quanto ho
sofferto, siamo seri, che cosa hanno mai capito del mio dolore? Sono stato “il
malato”, quello da trattare con compassione e pietismo vomitevoli…
Dov’è il mio accendino, cazzo? Qui
non si potrebbe fumare, ma ormai che si fottano! Al diavolo i loro divieti, le
loro ipocrisie, i loro tormenti esistenziali per questioni di abominevole
superficialità. Pazienza, non lo trovo, vorrà dire che ha vinto Zeno, ok, ma lui non vince, lui non
vincerà…
(C’è ancora un sorsino di caffè.
Almeno vado all’inferno da sveglio.)
Quanto è amaro…Un tempo lo prendevo
dolce, con due cucchiaini di zucchero. Poi l’ostracismo imposto e addio a caffè
e sigarette. Solo the, con un po’ di miele.
Già, il miele. Quegli occhi.
Sbarrati, inesorabili scrutatori. Velati. E sempre fissi su di me, me! Magari gli sta dicendo che ci sono buone
probabilità, perché bla bla bla… ma no, no, in ogni caso non mi fiderei di quel
bastardo. No. Nessuna flessibilità, si era detto. A parte quelle due donne, in
questo dannato studio tutti abbiamo un conto in sospeso con la morte.
Manca un
minuto e mezzo… Cazzo, però… Le nostre vite appese ai fili di quell’ordigno
maledetto… Che morte cretina! Forse potrei… Ma in cambio di cosa? A che serve
procrastinare? Svegliarmi ancora con l’incubo che da un momento all’altro
arrivi il grande blackout, l’infinito silenzio, l’insondabile vuoto, è questo
che voglio? No, piuttosto che aspettare che venga a spazzarmi via
definitivamente quel vento gelido che soffia giorno e notte sul mio collo,
preferisco stare qui, ad assaporare questa furiosa vendetta, amara come questo caffè
di cui non resta che il fondo.
Sì, d’accordo, ma… ha sette anni…
Potrebbe essere un generoso amante, magari diventare uno scrittore, quello che
non sono mai stato io, rinchiuso vent’anni a sgobbare in un ufficio, lasciando
invecchiare i miei sogni su scartoffie inutili e romanzi mai compiuti…Il
progetto…
Quaranta secondi, vado.
Fine.
Raccontino scritto vent'anni fa, inserito qui per variare il ritmo analitico da maestrina del blog.
Alla prossima!
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