SPAZIO E CAPITALE/1





Dopo aver brevemente indagato gli effetti dell'età tardo capitalista sul tempo in tempo-e-capitale, proverei ad abbozzare alcune banali osservazioni sul legame che il capitale intrattiene con l'altro "a priori" che condiziona il nostro essere nel mondo: lo spazio.

Amante da brava occidentale delle triadi, suddividerò le mie risibili considerazioni in tre fondamentali aree tematiche:

  1. Capitale e spazio vissuto
  2. Capitale e spazio pubblico,
  3. Capitale e spazio (spazi) da esplorare.

 CAPITALE E SPAZIO VISSUTO

Comincio dallo spazio che si vive, quello che un tempo si sarebbe potuto anche chiamare "spazio vitale", espressione che oggi fa giustamente storcere un po' il naso per il richiamo immediato al Lebensraum nazifascista e le sue abiette implicazioni. 

Nessun pericolo reazionario, perché lo spazio da vivere si è fatto sempre più ristretto, perdendo ogni gloriosa/patetica ansia di supremazia ed accontentandosi di occupare un luogo condiviso con miliardi di  persone, in cui può finalmente espandersi virtualmente, senza incontrare alcun limite.

Lo spazio vissuto è, infatti, per la maggior parte degli occidentali prevalentemente quello internettiano, che si presenta vasto, infinito, senza alcuna frontiera da attraversare, senza sentieri da battere con fatica e senza luci, condizioni climatiche o incontri pericolosi che ne possano mutare sostanzialmente le caratteristiche.

E questo potrebbe essere, in fondo, il primo effetto clamoroso del capitale:

avere omologato lo spazio in questo enorme acquario di pixel che falsa la vera esperienza del corpo umano, di quel corpo umano che disegna lo spazio, lo mostra e costruisce nel suo muoversi in mezzo, attraverso o contro di esso. 

Ma al di là di questa profonda frattura che ha creato nella percezione della spazialità, gli effetti del Capitale sullo spazio vissuto sono ben tangibili anche, soprattutto, fuori dal web.

La devastazione del paesaggio, l'inabitabilità di moltissime zone della terra diventata rovente come non mai, la desertificazione da una parte e la sofferenza delle campagne e delle città dall'altra, con una cementificazione dissennata e la concezione di tutti quei nonluoghi di cui ha parlato Marc Augè che sono il contrario della piazza e della sua vocazione comunitaria, perché distruggono l'anima dello spazio che è quella di creare identità, coltivare relazioni e custodire il bello, 

beh, tutte queste amene cose rispondono tutte alla logica del denaro che non ha ovviamente alcun desiderio di trattenere la bellezza ed educare ad una critica che la preservi.

 Perché i soldi si fanno con il cemento e con il malaffare, anche con il fotovoltaico e le pale eoliche se conviene, ma solo se conviene e senza mai invertire, in ogni caso, quella rotta di sfruttamento assoluto delle risorse limitate del pianeta su cui si basa il capitalismo (come ho cercato di ricordare già in capitalismo-insostenibile).

Il capitale priva lo spazio dell'incanto e della sua stessa abitabilità senza farsi alcuno scrupolo, come sappiamo bene noi palermitani, figli di quel famoso sacco che ci ha negato splendori che ancora gridano e per sempre grideranno vendetta.

Ma come sanno ormai penso tutti gli esseri umani, che stanno vivendo un'estate disumana, abbracciati ad un condizionatore che continua ad agire contro la sostenibilità del nostro ambiente lacerato, ma paradossalmente rappresenta l'unica strategia di sopravvivenza per i fortunati che lo possiedono (faccio parte della categoria, qui cerchiamo di resistere per tenerlo acceso solo di notte, ma è una dura lotta!).

Da dove si deve partire per recuperare uno sguardo attivo e curioso che vigili sul nostro spazio e pretenda che sia ancora umano, bello, non omologato? 

Come si può proteggere o ricreare uno spazio che non ceda all'incuria o alla devastazione?

Penso che si dovrebbe sempre partire dalle sagge parole del compianto Peppino Impastato, in quella magistrale interpretazione di Peppino da parte di Lo Cascio nel film "I cento passi" di Tullio Giordana nel 2000,  che rimane indimenticabile :

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. 

È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».

Come ho scoperto qui, in quest'articolo del 2014 di Salvo Vitale, amico di Peppino e conduttore insieme a lui di Radio Aut, che vi invito a leggere :

https://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/23la-bellezza-e-peppino-impastato.html. 

in realtà questa frase che continuamente viene associata a Peppino, lui non la pronunciò mai.

Ma rimane importante per ragionare insieme su perché il brutto possa dilagare, insistendo nel cogliere i motivi di assuefazione ad esso e scoprendo quante determinanti influenze sul nostro carattere - oltre che sulla nostra salute- abbia il paesaggio.

Come mi ha detto una volta lo studioso e scrittore Franco La Cecla, "siamo carne e geografia" e tutto ciò che ci circonda non è un mero accessorio trascurabile, ma plasma in maniera netta il nostro modo di essere nel mondo.

   (to be continued... spazio e capitale 2)

Un nonluogo berlinese


Nonluogo palermitano

Commenti