Foto di mio padre Lorenzo D'Asaro, Vucciria 1984 |
CAPITALE E SPAZIO PUBBLICO
Mi apparto e provo a dimenticarmi per qualche minuto dello scenario apocalittico vissuto in queste ore dalla mia città.
Con tristezza ho appreso della morte di Marc Augè che avevo citato proprio l'altra sera nel post in cui ho scritto dello spazio vissuto nell'epoca tardo capitalista.
Non avrei mai potuto esimermi dal riferimento agli impersonali ed asettici nonluoghi, neologismo che l'antropologo francese ha introdotto ormai trent'anni fa per descrivere quei numerosi spazi come aeroporti, centri commerciali e autostrade che caratterizzano le società globalizzate.
Luoghi che non sono luoghi perché non generano alcun radicamento nella storia del posto in cui si cammina, non creano relazioni, identità, né alcuna affezione letteraria e sono, come accennavo ieri, l'opposto della piazza e, in fondo, anche del mercato, di quei luoghi, cioè, che prima della globalizzazione si sforzavano di offrire il loro caldo, chiassoso abbraccio a gente diversa e interessata a scambiare idee o denaro, mentre guardava con curiosità i suoi simili intorno.
Prima che il Capitale trionfasse in modo indiscusso e incontrastato, lo spazio si costruiva così, partecipando al corso misterioso della storia irripetibile che si viveva attraversando posti tutti diversi ed inconfondibili.
Erano tutti luoghi unici con una storia particolare da raccontare che almeno i visitatori attenti conservavano impressa nella memoria, come molla per tornare da quelle parti in cui si era stati bene o come monito a non recarsi in essi mai più, e senza affidarsi a nessuna recensione su tripadvisor, ma solo al proprio istinto da viaggiatore.
Oggi ci si guarda intorno prevalentemente con indifferenza, perenne fretta, mantenendo il capo chino sul cellulare, senza lasciarsi catturare da dettagli che comunque nemmeno potrebbero essere colti, perché quelli che attraversiamo sono spazi per lo più amorfi e standardizzati.
Il passaggio in mezzo ad essi è obbligatorio ed il messaggio è chiaro, sia che siate cittadine/i, sia che siate turiste/i:
consuma e gongola. E più non dimandare.
La deriva capitalista moltiplica a dismisura locali in cui è possibile bere e mangiare tutto ciò che si vuole e in ogni momento che si desidera.
Tutti i centri delle città europee ormai si somigliano moltissimo nelle loro invadenti offerte gastronomiche senza sosta, che rendono ardua la scoperta di angoli nascosti, sottratti alla dittatura del pasto permanente.
Questi sono i luoghi che puntellano lo spazio pubblico delle nostre città. Quello spazio sacrosanto in cui dovremmo affrontare questioni di carattere comune, fuori dal Parlamento, discutendo in modo costruttivo tutti insieme che soluzioni adottare per fronteggiare le numerose emergenze che riguardano la nostra società.
Da decenni le discussioni
avvengono ormai principalmente nei talk show televisivi e nelle varie piattaforme digitali.
Ma i social possono svolgere
questo ruolo? Possono davvero sostituire lo spazio pubblico, l'agorà, la piazza?
Rimango molto scettica al riguardo, ma sono rassegnata all'idea che indietro non si potrà tornare.
Se essi sono il surrogato dello speaking corner, bisognerà comunque sempre prestare attenzione alla loro qualità e magari sorprendersi di ritrovare molto più interessanti certi simposi con amici in carne e ossa che esprimono vedute differenti che ci lasciano intuire quante cose ancora non abbiamo proprio nemmeno immaginato e quanto occorra sempre mostrarsi pronti e disponibili a cambiare opinione.
Fa molto caldo, torniamo al "nonluogo".
Non luogo è curiosamente anche una possibile traduzione di utopia:
ού τόπος, "non" "luogo"; ossia "luogo che non esiste".
L’utopia è parola a me cara che credo vada riutilizzata con fierezza per tornare a dare nuove direzioni e sognare insieme nuovi mondi e spazi di solidarietà, sostenibilità, tutela dei lavoratori, liberazione dall’ignoranza, dallo sfruttamento e da ogni tipo di oppressione ai danni soprattutto dei più deboli e diseredati della terra.
Come il nonluogo pensato da Augé, anche l’utopia è un luogo che non è un vero luogo, ma solo perché non lo è ancora e forse mai lo sarà.
Il nonluogo invece si può percorrere, la sua concretezza è purtroppo tangibile, ma rappresenta più che altro una distopia, quel luogo che ha deformato completamente il suo senso originario, ha fallito la sua ontologia, mancato la sua essenza, demolito completamente la sua vocazione di creare storia, identità, appartenenza, familiarità.
In conclusione, posso a questo punto enucleare i principali tratti che caratterizzano a mio avviso lo spazio dell'era tardo capitalista:
-omologazione
-sicurezza
- neutralità
- asetticità
- desacralizzazione
(to be continued... spazio e capitale 3)
Commenti
Posta un commento