TEMPO E CAPITALE



Ovvero come l'ansia di non AVERE tempo sta distruggendo le nostre vite




Dettaglio de La persistència de la memòria di Salvador Dalì, 1931

"Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so;
 se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so",
S.Agostino, Le Confessioni, XI libro

Uno dei massimi enigmi intorno a cui si sono arrovellati tantissimi filosofi, letterati, poeti, cineasti, scienziati ed artisti, è certamente il tempo, concetto che non si può definire, né tanto meno liquidare in breve.
Qui mi limiterò solamente a riflettere su un semplicissimo fatto: come l'attenzione di cui ho parlato in capitalizzare l'attenzione , anche il tempo non è capitalizzabile, perché non è una merce, qualcosa che si possa toccare, regalare, commerciare, misurare oggettivamente e investire come se si potesse guadagnare qualcosa da esso.

Il tempo nell'era tardo capitalista, però, viene diviso in compartimenti stagni e da questo meccanismo di incomunicabilità e netta separazione tra i momenti e le fasi del ciclo quotidiano sembra difficile, quasi impossibile sottrarsi. 
Come ha scritto Zygmunt Bauman:
Nella modernità liquida il tempo non è né ciclico né lineare, come normalmente era nella altre società della storia moderna e premoderna, ma invece "puntillistico" ossia frammentato in una moltitudine di particelle separate, ciascuna ridotta ad un punto.//
Le giornate vengono ormai vissute come unità produttive da far fruttare in ogni loro parte, senza che ci si accasci mai in situazioni di non consumo, di apatia o di ricerca di niente.
E le notti non sono che la pausa che consente ai corpi e alle menti di svagarsi e recuperare energia per tornare a produrre e consumare il giorno successivo.
Anche le insonnie sono nemiche del capitalismo, con la loro interruzione silenziosa della furia produttiva dissennata e che distoglie l'attenzione dai molteplici circuiti che vogliono proprio rubarci il sonno, come le piattaforme digitali. 

Ma se alla fine, stremata/o e con le occhiaie da panda un po'incazzata/o, cerchi qualcosa per dormire, inizi a impasticcarti anche tu di prozac o di serie tv, contribuirai ad ingrossare il capitale e addio gloriosi sogni rivoluzionari! 

L'insonnia è una cosa seria. 
In quella di stanotte, iniziata alle 3 del mattino dopo 4 discrete ore di sonno, per arrivo improvviso nel lettone di secondogenita insofferente al caldo che si è fatto tanto attendere ma è giunto ad appiccicare gradevolmente la nostra estate sicula, mi sono rifiutata di accendere qualsivoglia dispositivo elettronico eccetto che adesso che sono le 5.48.

Mi  sono alzata, ho fatto un po' di risveglio muscolare (!), e, meditando, ho  ripensato ad albe viste a Favignana in lontane estati in cui ero giovane e piena di problemi inutili e poi alle mie amiche e ai miei amici ritrovate e ritrovati in questo mese di giugno appena terminato, che mi ha visto organizzare diversi rendez-vous per adulti e piccini... e poi pensavo alle immissioni in ruolo che inizieranno a momenti ed al mio destino ancora imperscrutabile, come rimane quello di tutte/i.

Pensavo anche al blog e alla sua inutilità anticapitalista. 

Ma ciò mi ha messo addosso più tristezza che orgoglio, solo che prima di chiuderlo definitivamente, desidero scrivere alcuni post per riaffermare le ragioni che mi hanno mosso quando un mesetto fa ho deciso di tornare ad "atturrare".

E quindi voglio parlare brevemente del rapporto tra tempo e capitale.

Esattamente un anno fa, il primo luglio del 2022, mi svegliavo abilitata all'insegnamento. Ieri è stato l'anniversario della mia prova orale sostenuta a Maddaloni, in provincia di Caserta.

La traccia che avevo estratto il giorno prima e intorno alla quale ho dovuto concepire una lezione per un'ipotetica classe liceale, era proprio sul concetto di tempo in un autore che ho sempre studiato troppo poco per definirmi sua amante incondizionata e che, pure, è indubbiamente uno dei più grandi del Novecento e che andrebbe recuperato per correggere profondamente le derive della concezione occidentale del tempo.

Sto parlando di Henri Bergson.


"La via che percorriamo nel tempo è cosparsa dei frammenti di tutto ciò che cominciavamo ad essere, di tutto ciò che avremmo potuto diventare"


La concezione di durata di Bergson è profondamente anticapitalista e rivoluzionaria.

L'idea del tempo come semplice programmazione di ore da scandire secondo il meccanismo capitalista de "il tempo è denaro" ha certamente radici molto antiche. In fondo, emerge con la figura medievale del mercante e, introducendo i primi calendari e orologi meccanici, sbaraglia la concezione del tempo ciclico di orari di raccolta e semina dei contadini, contraria all'idea di aggressione intensiva delle risorse naturali.

Questa idea del tempo che si può consumare e far fruttare non è nata quindi nel Novecento, ha già svariati secoli di vita alle spalle, ma va sempre tenuto presente che questa deformazione della concezione del tempo in cui siamo situati e di cui siamo eredi non è originaria.

Il tempo a cui pensa Bergson è ben diverso: eterogeneo, irreversibile, continuo, concreto e interiore.

Il filosofo francese rivendica le ragioni di Aiòn, quel tempo che i Greci conoscevano tanto quanto Chrònos, il tempo della scienza omogeneo, spazializzato, astratto ed esteriore, che è il solo ad essere misurabile oggettivamente ed è quello su cui si fonda la nostra società capitalista.

Avere smarrito Aiòn, quel tempo irripetibile, che scorre senza sosta nell'anima e nella memoria, ha fatto di noi strane creature perpetuamente indaffarate, sempre di corsa, sempre incapaci di fare i conti con i nostri gomitoli interiori.

Sarebbe bello tornare a concepire il tempo in  maniera filosofica. E direi bergsoniana e heideggeriana. Ma anche gadameriana (tornerò magari sull'argomento).

Marcel Proust
Viviamo, non siamo enti, ma veri esseri umani, solo quando abbiamo una piena, chiara consapevolezza della nostra temporalità costitutiva.

Siamo esseri storici e non nel senso che siamo soltanto capaci di andare alla ricerca del tempo perduto , ma anche nel senso che siamo aperti costitutivamente- meglio dire ontologicamente- alla trascendenza del nostro essere, alla progettualità, alla possibilità di espandere il nostro orizzonte temporale ben oltre il momento presente, per costruire una storia che ancora non conosciamo. 

A ben vedere, viviamo gettati come cose in questo tempo proprio finché viviamo vincolati solo ed esclusivamente al presente.

 Se lasciamo che prevalga questo presentismo che caratterizza la nostra epoca, che ci tiene inchiodati ad un clic, alla sensazione del momento, alla programmazione della giornata, al pensare cosa mangiare stasera e magari entrare velocemente in un supermercato, raccattando senza troppa passione cibi pronti, ci abituiamo a ritenere ogni cosa usa e getta, persino le persone. 

Come oggetti senza storia, senza un passato che possa suscitare ammirazione o repulsione, ma percependoci reciprocamente soltanto come trastulli per un piacere momentaneo o, al contrario, come ostacoli fastidiosi da rimuovere con freddezza, stiamo creando una visione disumana degli altri e di noi stessi.

Opportunisti e squallidi, noi occidentali europei abbiamo oggi un grandissimo problema con le relazioni umane.

Il tempo sembra farsi pieno in realtà solo quando siamo in ottima compagnia o davanti a qualcosa di bello che procura un distacco dalla quotidianità, dall'assillante richiesta delle cose di prenderci cura di esse, di dare loro un'organizzazione, di farle uscire dal caos in cui navigherebbero senza un nostro intervento, secondo quella praticità che è obbligatoria, a cui sottrarsi non è possibile- a meno che di non navigare nell'immondizia.

Ora, per consentire il funzionamento della nostra società capitalistica, noi invece dobbiamo cercare di uniformarci ad un tempo omologato e costante, che è proprio tanto della catena di montaggio quanto dell'ottimo consumatore, e quindi dobbiamo sottoporci alle strategie di marketing che assecondano la stagionalità.

Eppure,  mi sembra che la vera bellezza del tempo non sia questo vuoto in cui in maniera nevrotica e ossessiva sperimentiamo la vita virtuale o il consumo dunque sono capitalista.

L'aspetto luminoso del tempo credo consista nell'apertura all'alterità, nel lasciarsi attraversare da tutti gli sguardi e dalle innumerevoli storie differenti che calcano con noi il mondo e che hanno desiderio di essere raccontate, senza fretta.

Diamoci il tempo giusto per ascoltare e perderci in quell'incontro magico ed imprevedibile con altre prospettive, che annulla ansie performative e manda all'aria qualunque rigido schema, senza lasciare affatto la sensazione di aver perso tempo... Anzi, non c'è altro modo per ritrovarlo o assaporarne un tipo migliore, probabilmente, che questo!




Che dire? L'enigma non l'ho certamente svelato. Ma concludo questa riflessione con una delle più celebri frasi del grande Eraclito, che meglio di altri riesce a mostrare quel volto del tempo che più sembra dissolversi nella nostra società tardo capitalista, e che dovremmo invece far di tutto per salvare:

Il tempo è un fanciullo che gioca, disponendo le pedine su una scacchiera.

Il tempo è il regno di un fanciullo.

Eraclito 




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