CAMBIARE DISCORSO

Cosa produce, in estrema sintesi, il “discorso del capitalista” di lacaniana memoria? 

 1. La riduzione dell'agire sociale a mero valore strumentale;

2. L’enfasi posta sull’autonomia individualistica;

3. La performance perpetua e onnipresente, in ogni ambito della vita;

 4. La riduzione del sapere a schemi standardizzati;

5. La diffusione di sfiducia e incertezza;

 6. Una progressiva perdita delle tutele che garantivano fino a qualche decennio fa ad ogni lavoratrice e lavoratore una vita dignitosa, fondata sui propri sforzi intellettuali e fisici. 

Cosa potrebbe, dunque, produrre il “discorso anticapitalista”? 

Se davvero vogliamo cambiare discorso, all'analisi e alla sintesi così schematicamente riassunte, dovremmo sforzarci di far seguire una rapida "pars costruens" , contrapponendo gli esatti contrari dei sei punti precedenti:

1. Opposizione tenace alla strumentalità;

2. Ripensamento radicale della comunità;

3. Rinuncia al riconoscimento continuo e ricerca maggiore di riconoscenza;

4. Elogio della complessità contro la dittatura della semplificazione;

5. Impegno contro il disincanto;

6. Rafforzamento delle tutele di ogni lavoratrice e lavoratore, per non abbandonare mai più la working class ad un destino di sfruttamento e povertà.


In every other endless direction, Mark Kostabi





1. Opposizione tenace alla strumentalità. 

Preferire, cioè, l'imperativo categorico di Kant ( "Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.") all'etica utilitaristica di John Stuart Mill.

In questa maniera, l' agire tornerebbe ad essere un agire per il bene collettivo, in cui ogni alterità viene riconosciuta e rispettata come sacra e inviolabile.
 Demolendo una volta per tutte la tendenza all'omologazione e alla mercificazione del corpo e dell'anima dell'essere umano, sottraendosi definitivamente all'adesione passiva a qualsiasi modello proposto, per essere finalmente solamente sé stessi e ciò che si diviene, dovrebbe riemergere la semplice considerazione sull'eccesso e l'abbondanza che caratterizza l'esistenza, che per sua natura trabocca e rompe ogni argine in cerca di contatti, per salvarsi e salvare, per fuggire alla morte, per consegnare a quest'ultima qualche "goccia di splendore" (cit. Faber) o solamente per non arrendersi all'annientamento totale e alla vittoria definitiva dell'I.A... 

Chi abita questo discorso contrario alla logica del profitto che regola la nostra società, è animato da scarsi bisogni ma da un folle, incontenibile desiderio dell'altro, e muove la sua esistenza in una ricerca febbrile e instancabile non di consensi, ma di pareri diversi e di sguardi non sempre di approvazione, proprio per valutare differentemente la sua personale prospettiva e arricchirsi di contrasti.

 Questa ricerca è inevitabilmente spesso dolorosa e poco lineare, ma procede senza paura delle soste, poiché riconosce ad ogni frattura e ad ogni silenzio un irrinunciabile valore di conoscenza e apertura verso certi mondi che rimangono impossibili da immaginare nel dialogo e nella continuità dei giorni, con simili che spesso non osano contraddire.

 Così, avendo a cuore ogni singolarità come possibile e prezioso accesso al mondo, si potrebbe disinnescare il pericolo di alienazione e di collasso della COMUNITA', scomparsa dall'orizzonte del capitalismo e che in questo discorso contrario ad esso dovrebbe aspirare ad essere, invece, solidale più che mai, impegnandosi a combattere con slancio ogni forma di privilegio. 

Nella comunità fuori dalla logica del capitale, infatti, l'interesse è che fiorisca e si mantenga brillante ogni singolo componente di essa, senza accettare gerarchie incrollabili e senza lasciare alla "fortuna" le sorti dei meno fortunati. 

Dal clochard al neurochirurgo, dallo studente fuorisede al centralinista del call center, dall'estetista al commesso del negozio di detersivi, dalla cassiera al web designer, dalla commercialista al fruttivendolo etc., tutti hanno il diritto di soddisfare i bisogni essenziali, per godere di quel TEMPO LIBERO indispensabile per riappropriarsi del significato dell' esistenza e per provare a costruire un mondo migliore per sé stessi, i propri figli e i figli di domani. 

Non bisognerebbe mai smarrire il misterioso vincolo che lega ogni nostro sforzo quotidiano a quello di tutti gli altri abitanti della terra. Che ogni azione sia profondamente "politica" non sembra un'affermazione reale se non quando è molto, troppo tardi, purtroppo, per poter reimpostare daccapo la propria vita. 
Nel discorso del capitalista è, in fondo, auspicabile mantenere questa cecità perché è necessario ignorare le ricadute del proprio agire sulla collettività.
 La strumentalità è fondamentale per rimanere sudditi di un gigantesco meccanismo che ci rende solamente mezzi per arricchire pochi padroni. 

 Cambiare discorso significa, invece, abbandonare la strumentalità, tornare a concepire l'alterità in maniera etica, senza cedere a forme ipocrite di retorica stucchevole, perché la comunità che si cerca di costruire qui non sarà mai pienamente adeguata agli ideali prefissati, né soddisfatta degli obiettivi minimi ottenuti in termini di giustizia sociale ed emancipazione. 
Bisognerà invece tornare ad interrogarsi sulle ingiustizie che restano sempre in agguato e richiederanno ulteriori nuovi discorsi e nuove ricerche di soluzioni. 

2. Ripensamento radicale della COMUNITA'

Nessun essere vivente è un’isola. La nostra connessione vitale è perpetua e nessuno si salva da solo. Insieme abitiamo il mondo ed insieme dobbiamo occuparci di esso. Ed ogni ferita di ogni abitante sulla terra dovrebbe riguardare il suo prossimo e non ricadere esclusivamente sulle spalle del singolo, additato come colpevole dei suoi fallimenti.
 La comunità è calore, disponibilità, amicizia e ospitalità illimitata. Ci si nasce dentro senza volerlo, ma il compito di ciascuno credo sia superare la diffidenza e lo scetticismo sul valore effettivo del confronto, per imparare la bellezza del LEGAME, costruendo relazioni profonde senza le quali non ci si sente affatto più felici. 

L’altro non è mai un ostacolo o un intralcio alla propria realizzazione, ma sempre un indispensabile ponte perché ciascuno possa elevarsi verso il meglio. (vedi il post: conforme a chi? )

Nel discorso anticapitalista, ognuno potrebbe sentirsi capace di amare e comprendere il prossimo suo come- e talvolta anche meglio- di sé stesso. Ciò implica scambi frequenti, senza che venga mai violata la necessità di indispensabili momenti di solitudine (che è ben altra cosa dall’isolamento), e possibilmente lontano dagli schermi. 


Il profilo migliore è preferibile quasi sempre conoscerlo dal vivo! 


Love Letters, Mark Kostabi




3. Rinuncia al riconoscimento continuo e ricerca maggiore della riconoscenza.

Molto difficile da realizzare, ma, quasi come fosse un suo corollario, al primo punto dovrebbe seguire una nuova sobrietà esistenziale, interessata più alle manifestazioni di riconoscenza che all'ansiosa, snervante e destinata a fare impazzire, ricerca di riconoscimenti e popolarità (cfr. il post: gloria, manchi tu nell'aria... )

 La scommessa è che la fiducia e la riconoscenza possano far tramontare per sempre l’ansia da prestazione e la fame di visibilità su cui si basa la nostra società dello spettacolo

Ma ci vorrebbe una rivoluzione paradigmatica che ci conduca ad una reale accettazione delle crepe, delle imperfezioni, dei difetti che riguardano tutti gli esseri della terra, così da tornare ad affermare un diritto a fallire e non essere perfetti, che pare essere diventato una bestemmia. 

Lasciate che si cada e ci si perda, senza sentirsi in alcuna maniera stigmatizzati, ma soltanto umani, con limiti intramontabili e che tuttavia non rinunciano a spostare quelli mobili ogni giorno un po' più in là, coltivando sfide con coraggio, ma senza alcuna sfrontatezza scellerata ed insostenibile sicumera di chi si crede misura di tutte le cose o pensa che certi dolori dileguino con un po' di jogging e qualche tisana al ginseng.


 4. Elogio della complessità contro la dittatura della semplificazione. 

Il sapere complesso, problematico, costitutivamente aperto a ricerche infinite potrebbe iniziare ad appassionare quanta più popolazione mondiale possibile, senza mai più passare da comode sintesi divulgative, che finiscono molto spesso per distorcere il senso del contenuto.

 “La banalizzazione è il prezzo della comunicazione” diceva Dàvila, lo è quasi sempre, ma tra il cibo pronto da masticare e polpettoni indigeribili esistono moltissime vie di mezzo!

In ogni caso, bisogna avvertire chi è più giovane che i sacrifici sono indispensabili ed ogni educatore, anziché essere accomodante, dovrebbe con limpidezza insistere sulla fatica che riguarda la conoscenza, che rimane il bene più alto della vita di ogni essere umano.
 Non è facile, ma si dovrebbe amare più il passaggio, anche se duro, che la mèta. Magari si trarrebbe un profondo giovamento dalla rinuncia all'ansia di condivisione di frettolose ricette di benessere o aforismi ammiccanti, rapidamente obliati, così da iniziare a cercare la strada meno accessibile e impervia che, sebbene tortuosa e piena di insidie, eleva più del traguardo raggiunto in un attimo, senza avere attraversato boschi e labirinti. 

 “Quanto manca alla vetta?”
 “Tu sali e non pensarci!”
(F. Nietzsche)

 5. Impegno contro il disincanto

Incoraggiare, mostrare la possibilità sempre presente di allargare l’orizzonte senza sconfinare in nuovi nichilismi, è l’anima del discorso anticapitalista. Restituire ad ogni giovane speranza, perché non sia mai più possibile che ci si suicidi a 19 anni ritenendosi falliti.

 Ognuno è unico e preziosissimo e, se la ricerca del proprio posto nel mondo non può mai di certo eliminare l’incertezza ed il rischio di sbagliare strada, non ci si dovrà mai ingannare sull’insensatezza dell’errore. Si sbaglia sempre imparando ed ogni errore non è mai un fallimento, ma sempre un’opportunità di crescita. 

Uno dei pochi slogan accettabili nel discorso anticapitalista sarà: Mai più umiliazione! 



6. Rafforzamento delle tutele di ogni lavoratrice e  lavoratore, ( o creazione, nel caso non siano mai state neppure concepite, vedi i riders)  per non abbandonare mai più la working class ad un destino di sfruttamento e povertà.

Dobbiamo renderci pienamente consapevoli della centralità del lavoro e fare in modo che possa veramente diventare ascensore sociale e non condannare ad una nevrosi di massa  chi lavora sfinendosi, senza mai venire a capo del significato dei suoi sovrumani sforzi, risparmiati a chi nasce ricco e privilegiato.  (cfr. il post melanconia di classe )


Beyond the point of no return, Mark Kostabi



 Implacabilmente vicino agli ultimi, agli sfruttati, ai diseredati tutti, questo discorso che vuole smontare il capitalismo, intende farsi concreto e non restare utopia insulsa, che grida slogan e frasette facili da intendere, solo per sedurre con fini quasi mai etici, come fa il discorso capitalista.

 L’ottimismo del “tu vali”, del “tu meriti” e del tutto ti è dovuto, solamente per poter ingigantire l’economia e mantenere saldo il potere degli oppressori, non abita questo nuovo discorso. 

C’è, al contrario, un’irrequietezza ontologica, che non riesce a contrapporre alla sete di soluzioni possibili per il dolore di tutti- soprattutto di quelli che non l’hanno mai potuto gridare e rimangono a subire vite prive di speranza e senza sentirsi mai artefici del loro destino- una grande fiducia nel progresso, perché non si raggiunge mai alcuna certezza sull’assenza di male in questo anti discorso qui proposto.

 Ci si mantiene in cammino, animati dal desiderio di volersi bene ed esplorare il senso dell’umano e venirsi incontro, senza sentirsi mai Dei o detestabili guru, ma non dimenticando, nemmeno, di non essere cose o consumatori in trappola.

 "Soltanto" misteriosi, ancora da scoprire veramente, ESSERI UMANI, capaci di dire no e cercare l’autenticità e la giustizia oltre quello schermo che sfrutta le nostre energie da troppi decenni ormai, illudendoci che questo traffico continuo di immagini e commenti estemporanei sia la vera vita.

 Decostruire i discorsi che non convincono più, anche nella vita virtuale, è il primo passo.
 Ma giunge poi il tempo di iniziarne altri. 
E calarli nel mondo.

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