MELANCONIA DI CLASSE. Manifesto per la working class.

<<La parola ghost, fantasma, viene dall’inglese antico gast che ha molteplici significati: “respiro”; “spirito buono o cattivo”, “angelo”, “demone”; “persona”, “uomo”, “essere umano”. In senso biblico, la parola significa “anima”, “spirito” o “vita”. Poi c’è il Geist di Hegel, una forza che ci anima e ci guida, simile ovviamente alla pulsione di morte o al libidico. Per Hegel, Geist significa anche “mente” e “spirito”, oltre che “mente” individuale e “spirito” di un popolo. Naturalmente la parola indica anche un essere soprannaturale, ma può anche significare un doppio, il proprio “fantasma” […]
Per tornare alla definizione di melanconia di Freud, al centro della melanconia di classe c’è esattamente questo: un aspetto del sé che non si potrà mai recuperare e a cui non si riesce a dare un nome. La melanconia dura per sempre, non esiste un antidoto.>>, Cynthia Cruz


Malgrado alcune ripetizioni, dovute forse anche ad un editing non troppo brillante, consiglio spassionatamente il libro della Cruz: Melanconia di classe. Manifesto per la working class.
Per diventare “qualcuno”, chi nasce nella working class non ha altra strada che assimilarsi alla logica dominante borghese, oppure dare sfogo alla propria, necessaria (come l'autrice dimostrerà nel libro) malinconia, ricorrendo all’autodistruzione. In entrambi i casi, il destino dei lavoratori è rimanere a fluttuare in un regno intermedio faticoso da gestire, anzi, quasi sempre ingestibile (muoiono giovani o si suicidano quasi tutti gli artisti provenienti dalla working class, presi in considerazione dalla Cruz). 

 Riprendendo moltissimo Mark Fisher (“A volte l’assimilazione è la forma più efficace di omicidio”, perché assimilarsi significa comunque uccidere una parte di sé stessi), ma anche Freud (ci sono splendide riflessioni sulla differenza tra lutto e malinconia), Lacan, Bordieu, Žižek, Benjamin e tanti altri, la Cruz presenta una disamina della condizione della working class- a cui appartiene lei stessa- soffermandosi su diversi artisti di origine “proletaria”, per dimostrare l’implicazione inevitabile della melanconia nella loro biografia. 

 Melanconia come marchio distintivo, quindi, di questa classe sociale scomparsa dall’interesse collettivo per poter assecondare la follia capitalista che ci fa credere di partire tutti dalle stesse condizioni.
Constance Charpentier- La Mélancholie (1801). 
                                             


 Ho trovato il suo percorso investigativo molto sentito e interessante e, seppure (o forse proprio perché) la mia prospettiva, figlia come sono di una ex professoressa e di un ex impiegato di banca, parta da origini, invece, “borghesi” o medio-piccolo borghesi (anche se, nell’accezione usata dalla Cruz, probabilmente rientrerei nella working class, ma con un accesso all’istruzione e alla sanità pubblica che non ha avuto gli intoppi che conoscono i veri “proletari”! La Cruz va ricordato è una messicana trapiantata a New York, quindi ha avuto notevoli difficoltà per potere anche studiare liberamente), in questa lettura è (ri)emerso tutto il tormento che da sempre mi agita e mi ha costretto ciclicamente ad avventurarmi in percorsi alternativi, di carattere socio-politico in gioventù (comunque, prima di diventare madre). Leggendo, per esempio, non ho potuto non pensare alle periferie palermitane, all' abusivismo edilizio, alla nostra indomabile resistenza palermitana all’essere disciplinati e non prestati, quindi, alla logica del decoro urbano borghese neoliberista. Estremizzando, si potrebbe dire il lato positivo del malaffare, dell’inciviltà e della criminalità, ma è un azzardo eccessivo, me ne rendo conto.

 Torniamo al libro. 

Il manifesto della Cruz è, in sintesi, un invito ad unire le forze della classe lavoratrice che viene rimossa costantemente dal discorso politico. 
La proposta dell’autrice è centrare sulla nostalgia, sulla redenzione di cui parlava Walter Benjamin, un’alternativa al neoliberismo che ha distrutto paesaggi, gusti, interessi in modo endemico e violento, anche perché ha negato il tempo libero che “è un lusso riservato alla borghesia”, portando avanti sfruttamento e oppressione e generando rabbia, dolore, pulsione di morte in chi non riesce più a trovare spazio e dimensione temporale adatti per esprimere i suoi più autentici desideri e manifestare la sua sacrosanta energia vitale.
 Cosa fare? 
Non solo mettere insieme tutti gli aneliti rivoluzionari, ma scovare l'origine da cui far scaturire un movimento contrario che scardini il sistema neoliberista. 

 Se “è nel frammento, nelle schegge e nei residui del passato che possiamo trovare la possibilità di un cambiamento rivoluzionario”, come scrive la Cruz riprendendo ancora Benjamin, allora è tempo di tornare ad amare gli scarti, gli elementi scagliati al margine, gli irrisolti e refrattari nodi della rete globale contemporanea. Come lo sono tutti quelli che non si potranno mai inquadrare in questo sistema osceno di consumo e distruzione e tenteranno sempre di lottare per difendere tutti quei beni incommensurabili che il capitalismo non può che ignorare.

 Ammetto di avere pensato, sostenuto, sviluppato con la “fenomenologia del rifiuto” alcune visioni in certi tratti molto simili, ma con molta meno intelligenza e profondità e sconfitta poi alla fine dalla mia inconcludenza e anche dal mio essere alla fine troppo borghese ed incapace di andare davvero verso le cose stesse. 
 Forse non mi rimane che suggerire alle mie figlie di percorrere questa strada interrotta, custodendo la "debole forza messianica" che, citando ancora Benjamin, la Cruz inserisce sul finale del libro: 

 “C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto.” 

Insomma, lo so, sono scarsissima nel fare recensioni, ma leggetelo, ne vale la pena!

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