CONFORME A CHI? CONFORME A COSA? CONFORME A QUALE STRANA POSA?

 

CCCP, 1987

Il conformismo è la scimmia dell’armonia.
 Ralph Waldo Emerson, diari


Il bisogno di dovere ossequiare la comunità, trovando nel "centro", nella medietà il modello principale (se non unico) cui ispirarsi, è alla radice del modo di intendere l'etica stessa per buona parte della filosofia, da Aristotele in poi (ma, semplificando estremamente, si potrebbe dire che anche tra i presocratici il "nulla di troppo" e la condanna dell'eccesso venissero considerati la base della saggezza, per quanto la glorificazione del potere normativo del lògos non riguardi affatto il mondo arcaico ed è proprio quest'assenza, in fondo- e anche qui semplificando-, la causa della fascinazione che esso ha esercitato su Nietzsche, Heidegger e tanti altri profondi pensatori).

Esiste davvero un modo retto di comportarsi che si presenta invariato, sempre identico e potenzialmente adottabile da ciascun essere umano, in qualunque momento della sua vita, che lo aiuti a sentirsi dalla parte giusta?

Chi ha la tendenza ad esagerare nel pensiero come ho già in altri post ricordato essere anche io, dovrebbe sentirsi perennemente nel torto, in una società pragmatista e consumista, che ritiene che ogni istante vada monetizzato e ogni giornata debba presentare conti sempre in ordine e mai in perdita?

Fallire nell'attivismo e nel vitalismo, sprofondando a volte in  momenti di silenzio e occhi lucidi, guasta la festa capitalista, dove dobbiamo essere TUTTI allegri continuamente, esibizionisti impenitenti, felici e contenti di ballare su un mondo in agonia.

Pensare e sognare sono ancora spazi liberi dall'obbligo di dovere recitare questa irritante farsa.

Pensare non è giudicare. Solo nel pensiero c’è libertà. Allora il pensiero somiglia al sogno? Cose vane e passeggere di cui non importa rendere conto?

Può darsi, chissà. Il sonno è il “completo assopimento dei sensi o cessazione momentanea dell’attività della vita animale”, cessazione che non avviene mentre si pensa, tuttavia la fluidità può dirsi riguardi entrambe, senza poter misconoscere che nel sonno il protagonista è l'inconscio che affiora solo di rado nei pensieri diurni.

Dal latino "somnium" derivato di “somnus”(sonno) deriva naturalmente sogno: immagine che viene alla mente durante il sonno, il più delle volte collegato in modo strano con la vita extraonirica e che ha sempre suscitato interesse, a volte angoscia, nell'umanità.

Non è che ad interpretare i sogni ci abbia pensato per primo Freud, eh. 

Uomini e donne hanno sempre cercato di andare oltre i sensi e sempre hanno creduto di poter trovare nel sogno degli elementi profondi per ricercare la “Verità” che non basta mai, ha differenti gradi epistemici, muta a seconda dei contesti, eppure per quasi tutti gli esseri umani liberi rimaneva un tempo l’oggetto verso cui muoversi con ostinatezza.

Per fortuna la filosofia del Novecento, dopo Heidegger, ha radicalizzato le sue domande intorno a cosa sia la verità, modificando sostanzialmente determinate prospettive elaborate intorno ad essa e ormai stratificate, non più discusse, perciò non più vitali.

La verità che il pensiero si sforza di raggiungere in modo logico e razionale spesso si chiama “conclusione” convincente di un ragionamento che, procedendo per tesi, antitesi e sintesi, per congetture e confutazioni, si è riuscito a placare in un pensato che sdrucciola di meno, sa “spiegare” più cose di quello iniziale da cui si era partiti, perché ha arricchito il suo corso con le osservazioni del mondo fuori, delle opinioni proprie ed altrui ed è riuscito a raggiungere una certa “solidità”.

Tuttavia, non è per niente “solida” la verità.

La verità può essere pensata, detta, ascoltata, immaginata, sognata, esperita anche nell’amicizia e nell'amore, nella musica, nell'ascesi, nell'esperienza estetica (e chissà quali e quante verità incontrerò per esempio più tardi al concerto della mia adorata Carmen ed Elvis Costello, non vedo l'ora!)

La verità musicale, come quella poetica, in ogni caso smentisce clamorosamente questo bisogno di fondazione, di certezza, di cemento che plachi quel disarmante terrore di non avere niente a disposizione che coglie l’uomo occidentale, abituato a poter programmare i suoi giorni come delle vacanze continue dalla vita che fugge, a suo avviso, solo per chi non sa in modo sano razionalizzare le sue risorse.

La verità del linguaggio che dice e che si ascolta, sia esso musica, poesia, pittura, romanzo o scultura, non appartiene neppure alla “solidità”, ma assomiglia alla prodigiosità di un incontro che trasforma.

Si esperisce “verità” laddove avviene un profondo cambiamento che rende chi ne è protagonista distante da ciò che era prima, perché disilluso riguardo la sua capacità di poter afferrare tutto da solo, di essere un Dio, ma conscio finalmente di aver bisogno dell’altro, sia amico, artista -o forse anche Dio-, che lo colpisce e sa donargli qualcosa che avrà cura di trattenere con sé per distaccarsi dalla disperante illusione di poter fare a meno di chi è altro da lui.

Ma nell'incontro non si subisce soltanto qualcosa di altro, l'alterità non la si “patisce” solamente. 

La si accoglie, la si ospita facendole spazio e lasciando nello stesso tempo che qualcosa di noi sia donato a chi si introduce nel nostro universo.

 L’amica/o- se amica/o vero è- insomma, gioca a misurarsi in modo reciproco, non inglobando preventivamente l’altro nelle sue categorie mentali, sentimentali, intuitive che siano… 

Si apre e lascia che l’altro si apra, non desiderando che ciò che accade in quell’incontro sia qualcosa di definitivo ed incontrovertibile, proprio perché radicalmente aperto, antidogmatico, fiero unicamente della sua mobilità costitutiva. 

Ogni incontro che trasformi è, per dirla in modo sintetico, sempre irripetibile.

L’opera d’arte che sembra non poter interagire è, malgrado non possa saperlo, arricchita anch’essa, una volta che diventa parte integrante del bagaglio culturale dell’uomo. 

Essa infatti sarà continuamente trasformata nei dialoghi che intorno ad essa verranno fatti da chi l’ha incontrata e ha deciso di proteggerla dalla morte certa che si ha laddove nessuno la interroga più.

 Si inaugura così la storia dei suoi effetti (direbbe Gadamere chi vorrà partecipare ad essa non sarà mai solo, ma potrà trovare tanti amici con cui portare avanti questo meraviglioso compito in cui “tradizione” e “tradimento” si avvicendano senza sosta, disegnando in modo sempre nuovo la Storia, senza centri e senza narrazioni univoche possibili.

E allora cosa sarà ciò che la società convenzionalmente ordina e considera giusto, che per Withman stesso doveva essere tenuto in considerazione da tutti i membri, donne e uomini, della società[1]?

Arduo rispondere. Ma ignorare il conflitto delle interpretazioni e dei vari modi di stare al mondo, tentando di imporre alla fine solo quello promosso dalla logica capitalista, non porterà alcuna soluzione, né libertà, né alcuna verità, perché quest'ultima troverà comunque il modo di emergere in altri contesti e occasioni non pensati adeguatamente dalla maggioranza.

Allora questo è forse il potere incoercibile della verità: insinuarsi  nelle lotte remote dei più invisibili e nel sogno dei più insicuri e dubbiosi. Ovunque si dia quel modo di stare al mondo che non si conforma a ciò che è creduto “giusto” dai più, eccola che fa capolino, sorride e se ne va. 

Oppure non affiora nemmeno ai margini e continuare a cercarla è una gigantesca follia, chissà.

Uniformarsi, in ogni caso, è uno strazio insostenibile e non conduce  ad alcuna verità. Mi aiuta a mantenere questa certezza anche l'etimologia, preziosa alleata di ricerche sempre precarie, per carità, ma meno inconcludenti.

Guarda caso, infatti, tra tutti i verbi che hanno “formare” come radice (performareriformareconformaredeformareinformare etc) solo uniformare  non deriva da un verbo ma da un sostantivo: uniforme

Uniformarsi non è una vera attività, ma più una passività dello spirito e del sentimento.

 Non si uniforma alcunché, ma ci si uniforma, ci si trova già uniformati, senza volerlo. 

Non c’è stato alcun pensiero attivo che ha decretato tale risultato. Ci si trova lì, con un'uniforme addosso non desiderata, non scelta, indossata come il grembiule dei bambini dell'asilo solo per inerzia del ragionamento o carenza di opposizione all'istituzione. E si subisce.

Almeno fintantoché non si comincia a mettere in discussione il mondo in cui siamo nati e tutto ciò che accade in esso.

E guai a dimenticare che "la prima volta fa sempre male, la prima volta ti fa tremare", come dicevano i CCCP in Per me lo so inserito all'inizio del post. E, soprattutto, che:

In questo presente che capire non sai

L'ultima volta non arriva mai





[1] Noi tutti- anche i migliori e più audaci uomini e donne- sistemiamo la nostra vita tenendo conto di quello che la società convenzionalmente ordina e considera giusto. , Walt Withman, Notes Left Over





Commenti