STRADE PARALLELE?

 


"Il rovesciamento dell'economia capitalistica, e la sfida politica che lo realizza, non significano in se stessi la trasformazione dell'ideologia patriarcale. Ciò è implicito nel fatto che la sfera ideologica ha una certa autonomia. Il cambiamento in direzione di un'economia socialista non comporta da solo la fine del patriarcato come sua naturale conseguenza. E' necessario condurre una lotta ben precisa contro il patriarcato, una rivoluzione culturale; anche le battaglie devono avere una loro autonomia. 

Da ciò sembra conseguire che la donna inserita nel movimento femminista rivoluzionario può essere l'elemento di punta per l'attuazione di un cambiamento ideologico a carattere generale, così come la classe lavoratrice è l'agente del rovesciamento del sistema di produzione specificamente capitalistico. Né l'una né l'altra forza rivoluzionaria- cioè né le donne né il ceto operaio- possono svolgere questo ruolo senza avere alle spalle una teoria e una pratica politica. Ma qui non è necessario che vi sia un ordine di priorità: esso dipenderà dalle condizioni in cui dovranno esistere tale pratica e tale teoria. 

Poiché il patriarcato non è affatto identico al capitalismo, i successi e le forze dei due movimenti rivoluzionari non seguiranno due vie chiaramente parallele. 

E' del tutto possibile che il femminismo ottenga maggiori risultati intermedi in un sistema di socialdemocrazia che non nei primi anni di un sistema socialista. Viceversa, il fatto che si sia attuata un'economia di tipo socialista non significa che debba cessare la lotta contro il patriarcato."

Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo, 1974


Della Mitchell, professoressa di psicanalisi e Gender Studies all'Università di Cambridge, onestamente ho letto solamente dei brani antologici, troppo poco per osare discutere del suo pensiero. Ma ho trovato in questa riflessione- a mio modesto avviso per niente datata, malgrado abbia cinquant'anni!- un nodo cruciale  che riguarda anche il percorso di questo blog, in cui i miei pensierini banali spesso sembrano persino a me assolutamente slegati e incoerenti. 


E il punto è esattamente questo: la lotta al patriarcato e la lotta al capitalismo possono procedere spesso in parallelo, talvolta trovare qualche punto d'incontro, ma non vanno teorizzati né vissuti come un'unica lotta.

Lottare contro lo sfruttamento della figura femminile, contro la mercificazione, la violenza e l'oppressione esercitate sul suo corpo, o schierarsi contro la mistica della femminilità, contro il mito della bellezza, contro il mancato riconoscimento delle molteplici differenze del genere femminile, contro l' isolamento nella trincea domestica e contro ogni residuo di patriarcato operante nella società occidentale e rivendicare, al tempo stesso, l'urgenza di mantenere viva l'attenzione per quelle sanguinose, sofferte rivoluzioni che stanno portando avanti le donne iraniane, per esempio, che non dovremmo mai lasciare sole, beh, tutto questo non rappresenta una battaglia trascurabile, da ritenere secondaria rispetto alla critica al tardo capitalismo.

E, viceversa, sforzarsi di analizzare le inaccettabili ineguaglianze causate dal capitalismo, la sua insostenibilità per il pianeta (per via dei disastri climatici provocati, per il depauperamento delle risorse naturali, per lo sfruttamento oltre misura delle lavoratrici e dei lavoratori, senza alcuna tutela dei loro diritti fondamentali, per le guerre provocate e per la disperazione che conduce milioni di persone a tentare di mettersi in salvo anche sfidando l'abisso, vedi l'abisso non ha biografi), provando a ricordare e/o a mettere in evidenza quante trasformazioni profonde la società capitalista abbia provocato non solo sul piano economico, ma anche su quello sociale ed esistenziale del mondo occidentale - ormai sempre più proteso a difendere il profitto anziché la virtù ed a suo agio principalmente tra numeri, conti e valori monetari, perché "nessuna cosa è chiara e semplice come una cifra", come diceva Simone Weil- , ebbene nemmeno tutte queste considerazioni anticapitaliste possono essere considerate marginali rispetto ad una battaglia fieramente femminista.

Sono strade che desiderano raggiungere un mondo più giusto, più equilibrato, meno violento e più risanato da pratiche di cura, ospitalità, solidarietà e amore per ogni straniera e straniero incontrato durante il viaggio.

Difficile però stabilire quale strada possa arrivare prima, anche perché non si tratta di una gara, ma di un permanente desiderio di avanzamento su entrambi i cammini. 

Ciò che conta, in fondo, è che la direzione sia la stessa.

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