SPAZIO E CAPITALE/3




CAPITALE E SPAZIO DA ESPLORARE

 

Al Capitale dobbiamo sicuramente moltissimo.

Sovvenziona la ricerca di spazi interstellari, realizzando avventure che gli esseri umani fino a una settantina di anni fa avevano confinato unicamente nei romanzi e poi nei film di fantascienza.

Le immense possibilità aperte dall'applicazione della tecnica alla scienza e le prodigiose collaborazioni di esperti nel mettere a punto astronavi, sonde e satelliti che possono esplorare il mistero intergalattico sono qualcosa di strabiliante. 

E sicuramente anche di molto dispendioso, ma ogni investimento in questo campo è senza dubbio giustificato dalla sete di conoscenza.

Come si legge in un articolo del Sole 24 ore uscito a gennaio di quest'anno, "l'origine della Space Economy coincide con la cosiddetta era spaziale", iniziata con il lancio dello Sputnik 1 il 4 ottobre 1957. 

Il settore della Space Economy è naturalmente in crescente espansione e nel 2030 dovrebbe raggiungere i 642 miliardi di dollari per arrivare addirittura a un trilione di dollari nel 2040. https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2023/01/10/space-economy-miliardi/

Tuttavia, come ci domanda il protagonista del documentario di Herzog The wild blue yonder, "L'Ignoto spazio profondo" del 2005:

Quanto siamo andati lontano?

Per  una lettura del documentario di Herzog, rinvio ad un vecchio post del mio precedente blog  https://natadalcaos.wild-blue-yolder.html

Cosa significa esplorare oggi?

Si può spaziare con la fantasia, prendere spazio nei social con un esibizionismo perenne e alla lunga patetico, dare spazio alle voci inascoltate, provare ad accogliere nel proprio spazio tutti coloro che fuggono da mondi in guerra attraverso il mare e viaggi/odissee che nessun occidentale ha mai per sua fortuna conosciuto.

Forse esplorare significa oggi soprattutto cercare uno spazio ancora non colonizzato dal capitale e dalla Τέχνη :

il corpo, il pensiero, l'altro nella sua irriducibilità che si sottrae ad ogni possibile dominio, la letteratura, il teatro, la scrittura, il sogno, l'utopia, la preghiera, la malinconia, la memoria...

Tutti spazi in cui ogni movimento non viene controllato né subordinato alla logica commerciale, spazi dove si respira aria buona, fresca, non contaminata e dove i confini rimangono incerti, il paesaggio non prevedibile, a volte, anzi, si presenta estremamente oscuro e ostile, ma di certo ogni passo in avanti segna una conquista che sorprende ed ogni dimora ritrovata in esso è risultato di sacrifici, perdite, smarrimenti che richiedono fatica, slancio e coraggio, oltre che provviste di fazzoletti per il sudore e per le lacrime.

Uno spazio dove si entra solo con attenzione e la ferma intenzione di restare umani.

 Uno spazio dove posso dire di essere venuta al mondo per esplorarlo ed abitarlo nel migliore dei modi e non venduta ad esso e costretta a rinunciare alla sua ricerca.

Uno spazio che cerco di rendermi familiare e non uno spazio che mi condanna ad un'alienazione non desiderata.

In definitiva, gli spazi possono essere anche molto meno lontani delle galassie intergalattiche. E richiedere capitali decisamente molto inferiori per consentire una loro esplorazione.

Come ha detto il grande Eraclito:

Per quanto tu vada non riuscirai a trovare i confini dell’anima, percorrendo ogni strada: tanto profondo (bathys) è il logos che essa possiede.

fr. 22 B 115 DK

In questi mondi ancora aperti e non omologati, la sperimentazione di spazi in comune è perpetua e le strade per cercarli sono infinite.

Nel mio piccolo, in passato ho tentato anche la strada della "poesia"; senza mai sentirmi minimamente poetessa,  ho adottato anche il linguaggio poetico o pseudotale per tentare di accorciare la distanza dalle cose, per avvicinarmi ad esse.

 E senza pudore, vi offro un ennesimo esempio:


 LUOGO COMUNE

Lì dove tutti ci incontriamo

Dove sempre dimentichiamo

Di osservare i particolari

Giacché sempre esso ci accolse

Senza nulla domandare

 

È lì che cerco

Di cambiar le mie lenti

Annebbiate dal torpore

Della mente stanca

che più perché non chiede.

 

Abitiamo posti già visti

Che pur bisogna

Imparare a guardare.

 

Sostiamo in luoghi

Comuni nel pensato

Comuni nel detto

E nell’immaginato

 

Così simili

E miserevolmente

Estranei, da essi ritorniamo

Pesanti e più leggeri.

 

Luogo comune

Di ogni mia incertezza,

Ospitami insieme

A chi vorrà scrutarti

Con languida lentezza.

 

La mia indigenza linguistica non è tramontata ed in fondo è un bene che sia così. 

La povertà di linguaggio è un trampolino per cercare nuove parole e nuovi vocaboli in grado di mantenere sempre viva la meraviglia per tutto ciò che ci circonda. Anche quando è inquietante e respinge per la sua prossimità con i contorni dell'inferno come i 45 gradi di ieri e le fiamme da noi, la grandine e le trombe d'aria nel nord Italia. 

E di "comune" il luogo, quindi, sembra non avere proprio più niente.

 Questo è comunque sempre il compito della filosofia:  aggredire l'ovvietà per restituirle la vita. 

Ma senza procedere in maniera solitaria, disinteressandosi dei percorsi effettuati dalle altre scienze, la filosofia dovrebbe mantenersi aperta e in dialogo perpetuo con tutti gli altri sentieri di ricerca che possono sempre arricchirla e ai quali può ancora donare interessanti suggestioni.

Lo spazio della riflessione, contrario al capitale, è animato da molteplici voci diverse, che traghettano ciascuna un punto di vista unico e imprescindibile di cui tenere conto per salvare lo spazio reale, quello dove respiriamo e portiamo avanti le nostre giornate, sopportando i fardelli ed escogitando sempre alternative valide alla disperazione senza vie d'uscita.

Le vie d'uscita esistono sempre, ma occorre trovarle insieme.

E con questo elogio del  sapere multidisciplinare, del dialogo e della vita in comune, si chiude questo breve "spazio", sottratto alla logica capitalista perché gratuito e interessato a custodire tutto ciò che il Capitale sta demolendo sotto i nostri occhi incollati ad uno schermo.


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