UTOPIE E ALTRI DISCORSI


Viviamo in una doppia gabbia che lega saldamente capitalismo e sviluppo tecnologico, nello sfondo di una democrazia che mi auguro sopravvivrà alle tentazioni dittatoriali di destre al potere sempre più aggressive.


Negli anni passati,  ho  manifestato spesso un disagio ai confini della piena avversione per questo modo d’essere occidentale “produci-consuma-crepa” che ci siamo trovati ad incarnare, volenti o nolenti, critici o passivi, fagocitati dalla Storia e, comunque, sempre corresponsabili del declino attuale occidentale. 
 A tutti voi, amiche e amici miei, non occorre infatti nemmeno ricordare che questo doppio nodo neoliberale tra capitalismo e tecnologia produce dilagante sofferenza fisica e mentale mercificando tutto ciò che esiste, indebolisce i rapporti umani profondi, causa disoccupazione alle stelle, si fonda su sfruttamenti lavorativi nauseabondi, alimenta disaffezione per le politiche pubbliche, manifestando da una parte una quasi totale indifferenza per lo stato reale in cui versano, per esempio, sanità ed istruzione -che sono i perni di ogni società “sviluppata”-, e fomentando, dall’altra parte, sperequazioni a danno della collettività.
Sperequazioni decisamente insostenibili, ma che vanno comunque a beneficio di quei pochissimi privati che avranno ben poco da sguazzare in un mondo sempre più inabitabile.

 Riprendo fiato, consapevole di avervi già tramortito senza pietà. 

 “Di più direi, ma di men dir bisogna”, diceva giustamente Ludovico Ariosto. 

Mi sforzerò pertanto di dosare la mia irritante prolissità andando al punto. Anzi ai due punti, due giuro. Ecco il primo :
 )
 1) CAMBIARE "IL DISCORSO".  (cfr. cambiare-discorso )

Se ogni problema che affligge la società contemporanea occidentale-americana trova la sua bieca origine nel “discorso del capitalista” di cui parlava Lacan, non è giunto il tempo di fermarsi e contrapporre alla sua indiscussa- da decenni- egemonia, delle alternative radicali, o, potrei anche dire, diversi, ALTRI DISCORSI? 
Contro il proliferare di tristi ed ansiogene DISTOPIE, non pensate sia giunto il momento di provare a proporre più coinvolgenti UTOPIE? 



Mondi più giusti, difficilmente realizzabili nella loro interezza, che pure possono ancora tornare ad orientare la cittadinanza nella scelta di azioni e omissioni decisive per una rigenerazione collettiva all’insegna del rispetto della sacralità della Natura e di ogni essere vivente sulla terra, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dell’ospitalità illimitata e imperitura verso tutti coloro che fuggono dal dolore in cerca di rifugi temporanei o permanenti, come gesti ed azioni praticati nel quotidiano, senza sentirsi profondamente soli nelle scelte non conformi alla massa. 

Dal lavoratore in nero ai riders sfruttati e che muoiono nell’indifferenza generale, dal neolaureato che non trova occupazione o viene pagato miseramente, dai giovani suicidi al professore precario con il salario più basso d’Europa, dall’operaio che non riesce a vivere una vita dignitosa per sé e la sua famiglia a migliaia di altri esempi tratti dal mondo del lavoro autonomo e non, che mortificano costantemente ogni essere umano stracciando i diritti faticosamente conquistati così come ogni idea di "welfare", penso che tutti dovrebbero chiedersi oggi: 

Questo discorso capitalista, nella sua declinazione tecnologica assunta da circa quindici anni, ci fa felici? 

E se non ci fa felici, esiste una strada alternativa al capitalismo? 

 Possiamo smantellare a livello psicologico, spirituale e materiale la trappola capitalista che ci vede schiavi della produzione e dominati dagli oggetti inutili eppure, al tempo stesso, “dominare” da bravi occidentali un mondo di cui ci crediamo padroni assoluti da secoli e di cui abbiamo fatto disumana incetta, sfruttando all’inverosimile le sue risorse naturali per consentire al nostro mercato di crescere senza alcun limite? 

Le contraddizioni che abitiamo sono numerose e potremmo analizzarle insieme un giorno.

 In ogni caso, sarebbe bello confrontare le riflessioni che al riguardo sono sicura farete ogni giorno anche voi, perché solo mettendo in circolo idee, visioni e conoscenze, queste possono essere perfettibili o confutabili.
 Solamente nella dimensione dialogica può esserci crescita. Per quanto la tentazione di procedere solitariamente seduca spesso, con i monologhi non si comprende il mondo e neppure sé stessi. Siamo insieme nel mondo e insieme dobbiamo prenderci cura di esso.


E, finalmente, andiamo al secondo punto, non meno problematico del primo:

2)  DISINNESCARE LA GABBIA TECNOLOGICA. 

Non è una proposta luddista, tutt'altro. 
La mia utopia si nutre dell'esigenza di impiegare la tecnica per migliorare la condizione umana degli sfruttati. 
Possiamo ancora vivere diversamente il nostro rapporto con la tecnologia? Perché una madre del Sudan con dodici figli non dovrebbe avere una lavatrice ed una lavastoviglie? Perché ad andare a raccogliere i pomodori sotto il sole cocente devono essere degli ”schiavi ”contemporanei ? Perché a portare la pizza sotto il temporale dev’essere un ragazzino in motorino e non- se proprio di alzare il culo dal divano non ci va - un automa privo di sentimenti e sangue che, anche qualora venisse sballottolato via da una grandinata improvvisa letale per i suoi circuiti elettrici, non lascerebbe nessuna eredità d’affetti? 

Che siano le macchine ad occuparsi di tutti quei “lavori” che lavori a pieno titolo non sono! 
Robot ad energia solare che senza fatica e nessun caporalato attuabile a loro spese riescono a portare a termine l’approvvigionamento mondiale dei beni di prima necessità ed eseguire varie attività che mettono a rischio l’umanità senza coinvolgerla nella ricerca di qualcosa per cui valga davvero la pena di esistere. 
Che siano i robot a scavare nelle miniere di cobalto per consentire la produzione dei nostri smartphone e mai più i bambini in Congo! 
In questa prospettiva soltanto, i rapporti di potere tra dominanti e dominati sarebbero finalmente tra uomini e macchine, come sarebbe giusto che fosse da sempre. 
Da diversi decenni, invece, accade esattamente il contrario, schiavi come siamo diventati delle nostre invenzioni che abbiamo creato per migliorarci finché non abbiamo smesso di domandarci quale fosse il loro Scopo, eccetto quello di ingrossare il capitale.

 Il lavoro, nella mia utopia, deve tornare ad essere l’anima della società. E dev’essere svincolato dall’ansia di prestazione, tornare ad essere lavoro vero, artigianale, intellettuale o creativo che sia, non più alienante e mai più sottopagato, ma capace di dare godimento reale a chi vede il frutto della sua fatica e si appassiona a perfezionarla perché trae autentico piacere da quell’applicare corpo e mente nell’impiegare il suo tempo.
 Nessuno dovrà essere più un pezzo dell’ingranaggio!

 Le mie proposte spicciole per iniziare a elaborare un piano di attacco al capitalismo, come vedete, sono semplici e banali e non ho vergogna di esporle. 
Il punto di partenza è accettare che il nostro tempo di gloria occidentale sia finito. Per me bisognerebbe innanzitutto metabolizzare il fatto che l’Europa ha perduto la missione di liberare gli oppressi dalla povertà, dalla guerra, da ogni tipo di discriminazione e sopraffazione, mostrandosi al contrario generatrice di ingiustizie abominevoli compiute contro masse sterminate di sfruttati, portatrice di una logica identitaria e violenta che stenta a smussare la sua insulsa fierezza.

 Gli unici collanti di questa Europa sono la moneta e la tèchne

Canetti diceva: 
“Dio non ha visto giusto riguardo alla confusione babelica delle lingue. Tutti parlano la stessa tecnica.”  Atroce, ma temo molto vero.

 L’impegno a mantenere l’equilibrio, appellandosi ai valori greco-romani-cristiani di philìa, xenìa, pietas e agape, con una coriacea diplomazia che lasciava emergere la potenza buona della cultura occidentale, è un impegno che è venuto meno e viene meno costantemente. 
I sommersi ad Auschwitz ieri, i sommersi nel Mediterraneo oggi. 
Il rispetto del sacro, della nuda vita sono ancora molto, troppo lontani. 

Abbiamo fatto trionfare leggi disonorevoli che hanno disgregato la nostra civiltà
Non meritiamo affatto, a mio avviso, di essere né padroni né dominatori dello scacchiere economico-politico mondiale. Possiamo solo cercare di redimerci ed imparare da chi è rimasto ai margini. 

Nella “modernità liquida”, “postmoderno”, “realismo capitalista”, o chiamate come vi pare la catastrofe che abbiamo creato, fitta di egoismo e rancore, è difficile salvarsi. 

 Eppure mi tocca tornare a citare il buon vecchio Hölderlin, sperando abbia ragione: “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”. 

Wall- e,  Disney Pixar 2008



Discutere qui comodamente davanti ad uno schermo è ben altra cosa dal progettare un’efficace RIVOLUZIONE che non rimanga sterile argomento di discussione tra pochi irrequieti, ma forse un vivo pungolo per tentare di cambiare discorso e realizzare l’impossibile per le figlie ed i figli di domani potrebbe nascere anche in questa tempesta di pixel e idiozie. 

Mai dire mai.

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