EROS EUROPEO IN AGONIA

Europa e il toro di Zeus, V sec. a. C.


 Questa Europa ha ucciso Eros. È povera di desiderio e postulante.

Non fa niente per riaffermare la sua originaria vocazione alla conoscenza ed al commercio, coniugando entrambe in una maniera finalmente etica, equa e responsabile, come, dopo secoli di ingordigia ed ipocrisia raccapriccianti, potrebbe finalmente fare oggi.

C'è chi ringrazia esaltato l'Occidente.

Senza Europa, in effetti, non esisterebbe niente di ciò che oggi sembra naturale, perché è stata lei a dare all'artificialità la sua origine, sganciando la techne dall'episteme, ed è stata lei a porsi le più grandi domande e ad inventare le più grandi narrazioni.

Senza Europa, il mondo intero non avrebbe conosciuto una bellezza incommensurabile. 

Dal Partenone alla Venere di Botticelli, da Caravaggio a Picasso e Rodin, dalla Reggia di Caserta a Casa Professa, da Eraclito a Simone Weil, da Terenzio ed il suo "homo sum, humani nihil a me alieno puto" a Saffo, passando per Mozart, Cervantes, Fellini, Flaubert, Pessoa e Stendhal, da Baudelaire ad Ungaretti e Szymborska, senza dimenticare Méliès e Rossellini. 

Non esiste elenco possibile che esaurisca la trama infinita di arte, cultura e innovazione con "marchio" europeo.

 Ma non abbiamo veicolato nel mondo solo bellezza, sensibilità e thaumazein, purtroppo. 

Sete di dominio, avidità, stolta visione discriminatoria e gerarchica per alimentare e far stare in piedi un sistema fondato unicamente sul profitto dell'uomo bianco, a detrimento di quelle che allora e fino alla fine della seconda guerra mondiale erano considerate le periferie del globo.

E, malgrado la sua millenaria eccelsa tradizione, anche la Russia si è fatta in certi momenti stregare dal fascino che ha esercitato per secoli l'Europa, che a scuola spesso continuiamo a ripetere sia stata sovrana indiscussa per svariati secoli della storia. 

La storia, tuttavia, banale dirlo oggi, non è mai stata eurocentrica. Bisognerebbe combattere continuamente questo pregiudizio, ed in ogni caso, se il vecchio Continente, perno centrale del sistema economia-mondo inaugurato nel Cinquecento, ha goduto di ogni bene possibile, dobbiamo ammettere che siamo ormai in un altro capitolo della Storia.

 E' la nostra un'altra era, post-europea, ci piaccia o meno.

La borghesia europea ha certamente cambiato le sorti del pianeta ed è diventata modello per altre civiltà.

La rincorsa degli standard europei di benessere è stata alla base della seconda Rivoluzione Industiale e poi il progresso statunitense ed europeo sono cresciuti a dismisura e la produzione accelerata è diventato scopo anche dell'Urss, come oggi è obiettivo primario cinese. 

"Lì non c'è stata difesa dei diritti civili elementari ed è tollerato un sistema fondato sulla sottomissione da parte della maggioranza della popolazione", si sente spesso dire dai difensori della nostra democrazia.

 Ma ne siamo sicuri? O è quello che ci raccontiamo? Il nostro modello capitalista ha effettivamente assicurato la nostra felicità? Allora perché tanta disoccupazione, perché tanto dilagante malessere mentale, perché tanti suicidi, perché tanti giovani infelici? Perché non proviamo a desiderare altro? Forse perché, infarciti di bisogni e bisogni superflui, non sappiamo nemmeno più cosa sia un desiderio.

Io sogno che sia l'Africa il continente che debba domani fare da traino dell'intero pianeta. È un'utopia irrealizzabile, ma sarebbe il solo possibile risarcimento per secoli di schiavismo e mantenimento in posizione secondaria quello di vedere le popolazioni nigeriane e congolesi imporre la loro supremazia (più che legittima, dal momento che, pur essendo stati depredati costantemente, sarebbero i più ricchi del pianeta) sulla terra.

Il sogno, in ogni caso, diventa sempre meno realizzabile perché i padroni del mondo sono americani, russi e cinesi, non certo africani.

E "noi"? A che continente apparteniamo? Che cos'è quest'Europa?

Troppo intellettualoide da una parte, troppo superficiale dall'altra. La sua principale tara forse è avere perso il pensiero e questo l'ha senz'altro resa così succube di un modello americano che non ha mai incentrato sulla speculazione la sua forza.

Io sono per un'Europa che medita, che riflette, che si sforza di criticare sempre e comunque, di portare avanti soprattutto un'autocritica indefessa, perché sa che non esiste il migliore dei mondi possibili. 

Un'Europa che si allontana da Pangloss ed insegue "Candido/Voltaire", nel suo spirito mordace e nella tensione permanente a trovare un nuovo obiettivo polemico per assottigliare la fascia degli esclusi dal fragile gioco democratico.

Un'Europa che allena la lingua e l'ironia, per resistere nella lotta per un domani migliore per tutte e per tutti, che può essere tale solo in assenza di armi e strategie belliche.

Un'Europa che si risveglia e cambia concezione del corpo e della natura, difende instancabilmente i deboli, vive eroticamente e con slancio erotico raggiunge un nuovo stato di grazia.

Perché se la società borghese manca di eroismo, come diceva Marx, quest'attuale società occidentale non manca soltanto di eroismo, ma anche di erotismo. 

Perché è Eros il padrone del mondo! E' la sua natura mediana, demonica e febbrile che ci ha insegnato Diotìma nel Simposio platonico, a renderlo supremo ed indispensabile motore delle nostre azioni. 

Eros è ricercatore incessante che conosce la ferita, il vuoto da cui nasce, brama la bellezza che potrebbe completarlo e si ingegna con tutto l'ardore che ha in corpo e che non è più umano ma divino, per trattenere, custodire, rendere più lucente e prezioso ciò che lo circonda.

La mia visione di Europa non è sicuramente condivisibile dai più, me ne rendo conto.

Il mio probabilmente è un tentativo romantico disperato, quanto patetico, di chi non vuole arrendersi all'evidenza di dovere soccombere per sempre.

 L'Europa, infatti, attraversa continuamente grandi crisi, ma quella che da dopo Auschwitz incombe su di lei è di tipo decisamente differente, forse non è più una questione di crisi da cui rinascerà qualcosa di inaspettato, ma un tracollo definitivo. 

Confesso di avere sempre più di frequente l'impressione funesta, che agita il sonno facendomi fare incubi angoscianti, che l'Europa stia per essere completamente spazzata via. 

Quella che è Europa oggi, comunque, non ha più niente a che vedere con le briciole di Europa che ha potuto conoscere la mia generazione. 

Gli europei del nuovo millennio raramente sperimentano quella vocazione al dialogo e alla scoperta di nuove culture che faceva sentire straordinariamente vivi i miei coetanei erasmus nei primi anni del Duemila. 

In troppi oggi sono sempre meno interessati a difendere le ragioni del multiculturalismo. Ritengono sufficiente guardare qualche serie tv o ascoltare musica indie per allargare il proprio orizzonte. 

Parla con entusiasmo di Europa solo una parte della borghesia, mentre il malcontento nella middle class è ai suoi vertici più elevati e vede nell'Europa e nella retorica dell'apertura delle frontiere uno dei motivi della sua povertà. 

Il malessere non ha mai conosciuto un apice così radicale ed è questo il motivo per cui rigonfiano le vele nere.

Concludo questo sfogo amaro, riportando ciò che ho condiviso su facebook un paio di giorni fa:

"Visto che il guaio Trump è anche che potrebbe diventare presto un modello da imitare, sfogare l'indignazione qui non credo basti più.

Forse andrebbe ascoltato l'appello di Michele Serra, che invita ad una mobilitazione collettiva in nome dell'Europa.
Come dice Serra, "Il mondo sta cambiando con una velocità imprevista, la storia galoppa e non concede requie nemmeno ai più disattenti e ai più pigri.".
Bisogna agire, dunque, rivendicare e fare sentire vivo più che mai il nostro sentimento europeo.
Tuttavia, quale Europa dovremmo difendere?
Se Gaber cantava "io non mi sento italiano, ma per fortuna purtroppo lo sono", oggi ci sarebbe forse da allargare gli stessi confini di "appartenenza", consapevoli che dietro ogni "mito" ci sono tante ideologie spesso aberranti.
"Io non mi sento europea, ma per fortuna purtroppo lo sono", quindi?
L'Europa che sogno personalmente va in direzione ostinata e contraria all'America di Trump, ed oggi più che mai avrebbe bisogno di guarire dal suo passato violento colonialista e prevaricatore, per non temere più il diverso, impegnandosi ad essere aperta, ospitale e pacifista, multiculturale ed ecologista.
L'Europa che difendo dovrebbe lottare contro le diseguaglianze prodotte dal capitalismo e promuovere una distribuzione più equa delle risorse, diventando culla dei diritti di ogni minoranza a vivere un'esistenza ricca e sicura, senza percepire nell'altro sempre e soltanto un nemico, ma un coabitante prezioso dello stesso pianeta.
L'Europa può infatti ancora riscoprire il senso dell'empatia, la capacità di immedesimazione nella sofferenza e nella gioia dell'altro e lottare con ogni istinto alla sua sopraffazione o indifferenza per le sue richieste.
Perché l'Europa può fare tutto questo?
C'è nella sua struttura qualcosa che la conduca effettivamente all'amore e alla giustizia?
Non è stata proprio l'Europa a commettere il genocidio dei nativi americani, ad organizzare la tratta degli schiavi e a produrre il nazifascismo, per citare solo alcune delle più tragiche pagine della sua storia?
Nello scacchiere geopolitico attuale, l'Europa ormai non è più da decenni centrale, ma può fungere da coscienza critica, contrastare pulsioni autoritarie ed opporsi ad ogni deriva della democrazia.
Proprio perché ha vissuto il dolore di due guerre mondiali devastanti, l'Europa oggi dovrebbe porsi oltre fili spinati, trivelle e catene, per lasciarsi abitare da pace, fratellanza, sorellanza, solidarietà, cosmopolitismo, uguaglianza e libertà, che sono i suoi valori fondanti e che è tempo si traducano in progetti eco-sostenibili, contro ogni vuota retorica e soprattutto contro ogni atroce e quotidiana forma di sfruttamento dell'essere umano sull'essere umano e di questo sul suo ambiente.
L'Europa può diventare, insomma, un laboratorio in cui sperimentare finalmente una maniera anticapitalista di stare al mondo, affrancandosi tanto da meri criteri quantitativi di produzione, quanto da valori legati al superfluo, effimero apparire, ritrovando il rispetto per gli esseri umani e per la Natura intera, nella tutela della piena e libera espressione di ogni sua differente parte.
Non so chi si senta oggi effettivamente europea/o o possa avere un sogno europeo simile a quello utopico delineato sopra. Sarebbe bello confrontarsi, atto possibile unicamente nelle democrazie.
Ma questo fragile, delicato progetto europeo potrebbe essere finalmente al suo punto di svolta da logiche unicamente legate al profitto che hanno logorato la sua iniziale vocazione pluralista e democratica, per ridisegnare una nuova visione politica, in cui sanità ed istruzione pubblica siano oggetto concreto dell'interesse dei governi, più della spesa militare.
Ed allora forse può avere senso incontrarsi in tante piazze, in contemporanea, da Stoccolma a Palermo, tutte unite per l'Europa.
Organizziamo? Se non ora, quando?"


Le "mobilitazioni" possono suscitare timore, perché sembra parlino alla pancia, diventando prove tecniche di regime, per cui, prima di riempire le piazze, forse ci sarebbe da comprendere quale Europa effettivamente vorremmo risvegliare.

Tuttavia, il tempo è balordo ed un segnale di risveglio democratico, sia pur tardivo, da non disperdere nelle lagne del web (che non è una vera piazza), penso che davvero occorrerebbe darlo.

Viva Eros! Abbasso la guerra!

Ad maiora!

Commenti