Arriverà il momento in cui abbandonerò di nuovo ogni viscosa certezza che mi fa ritenere il mestiere insegnante il più bello del mondo, lo so, ma oggi mi sento particolarmente grata e voglio solamente tessere le lodi della scuola.
Scuola che è difesa di ciò che di importante e bellissimo, utile o inutile che sia, l'umanità ha creato e può essere trasmesso a generazioni che rischiano di perdersi nella "scuola selvaggia" che è internet, almeno secondo la definizione di Edgar Morin nel bel libriccino "Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione", che lessi un paio d'anni fa.
Scuola che è soprattutto relazioni educative che sorgono, si sviluppano e seguono l'andamento incostante dell'esistenza, attraversando insieme quella fase di energia indomabile, primi amori, esplorazione furiosa della grammatica sentimentale, risate e trasgressione, ma che è anche la fase della vita in cui ci si ritrova a trattare con "ospiti inquietanti", forze distruttive ed apparentemente non governabili.
Scuola che è perciò attenzione a non ostacolare la comprensione, ricorrendo a comode etichette per incasellarci a vicenda, scordando la riottosità a sentirsi giudicati che abbiamo vissuto tra i banchi anche noi, e scorticando anche la memoria di quel malessere di impossibile definizione, che ci avrà fatto sembrare molto poco interessate ed interessati a cercare àncore di salvezza ad un abisso che desideravamo esplorare per fisiologica voluptas dolendi o per disordine estremo nell'inferno che è possibile vivere a sedici, diciassette anni.
Scuola che è, in definitiva, resistenza a quello in cui vorrebbero oggi- da qualche decennio, a dirla tutta- trasformarla, ossia un'azienda fitta di ingorghi burocratici e intasamenti procedurali, tali da rendere la didattica vera un bene sempre più raro, quasi in via d'estinzione.
Certo, non posso non riconoscere di essere stata particolarmente fortunata nell'essere titolare in una scuola che si distingue per uno straordinario interesse alle tematiche della contemporaneità.
Qualche settimana fa, all'Ascione abbiamo potuto incontrare un gruppo di studiosi e studiose dell'immigrazione che hanno discusso la portata ed incidenza del fenomeno a partire dai dati, quelli veri non distorti dalla propaganda del governo.
Tra gli invitati c'era anche Luca Casarini, responsabile della Mediterranea Saving Humans, che ha raccontato delle sue esperienze ed esortato le ragazze ed i ragazzi ad immedesimarsi nelle vite di chi emigra/scappa.
L'emergenza, insomma, in effetti c'è e non è l'invasione, ma la disumanità di cui ci stiamo facendo portavoci.
Potrei anche raccontare del grandissimo coinvolgimento che ha suscitato l'incontro con la psicoterapeuta Claudia Corbari, organizzato dalla mia tutor, per dibattere della violenza sulle donne.
Ma non voglio tediarvi oltre. Vi basti sapere che quando sono a scuola, anzi, nelle mie scuole, malgrado siano passati quasi sessant'anni, sento che le parole dei ragazzi di Barbiana riguardino ancora anche me/noi:
"Lettera ad una professoressa", 1967 |
"La scuola sarà sempre meglio della merda", già.
Così, anche se le magnifiche esperienze di flusso che si realizzano a scuola quando ci si lascia andare a conversazioni brillanti con le ragazze ed i ragazzi, vengono spesso sovrastate dalle incombenze o rovinate dalle interruzioni, rimane sempre vero che la vita reale a scuola è infinitamente più stimolante di quanto possano raccontare sui gggiovani e sulla nostra categoria gli articoli o i commenti sui social.
Basterà quest'elogio a rinsaldare l'entusiasmo nella "missione" educativa, dissolvendo i quintali di stanchezza che mi porto dietro?
In solitari ed arditi rituffi di impeti pedagogici alquanto risibili, mi è capitato di pensare che vorrei insegnare qualcosa che duri nel tempo, l'archè del mistero dell'essere umano, un preziosissimo tesoro da non smarrire mai. Basta un attimo per rendermi conto che ciò che insegno sono bolle di una schiuma che inonderà in fretta le loro vite, per essere rapidamente rimossa non appena metteranno i piedi fuori da scuola.
E, dunque, cosa resta?
La nostra relazione educativa.
Rimane la passione che ci abbiamo messo a cercare di capirci l'un l'altro, resta il tentativo di non sprofondare nell'angoscia dell'essere condannati all'ignoranza e resistere, malgrado tutto, domanda dopo domanda, risposta dopo risposta, nel dialogo che non smette mai e di cui ciascuno tesse una piccola, insostituibile parte.
Viva la scuola (pubblica)!
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