Il celeberrimo prof.John Keating in Dead Poets Society del 1989 |
Vorrei provare ad avere almeno un appuntamento mensile con voi, mie fidate lettrici e miei trascurati lettori, per raccontarvi di quest'anno di prova tanto atteso e finalmente arrivato!
Naturalmente corro il rischio di annoiarvi molto parlando di programmazioni, missione della scuola e varie considerazioni pseudo- pedagogiche, me ne rendo conto. E dal momento che, come ormai ben sapete, dilungarmi e disperdermi sono le attività che forse meglio mi riescono, non so quanto saprò effettivamente alleggerire il tutto, per cui saltate quel che potete, please!
Leggere, in fondo, è sempre selezionare.
Ed anche scrivere lo sarà. Sebbene sia trascorso solo poco più di un mesetto dalla firma del benedetto contratto, le impressioni ed esperienze collezionate sono infatti già tantissime e se cercherò di inserire nella mia prima cronaca soltanto quelle che ritengo più importanti, so già che ne trascurerò altre che magari nemmeno possono trovare collocazione scritta.
Ammetto fin da subito che, al di là di tantissima felicità ed euforia che provo ogni volta che realizzo di avercela fatta, lo stato d'animo che conosco prevalentemente adesso è, purtroppo, la stanchezza.
Sono esausta prima di cominciare? Di già? Beh, non sono bionica, lo sapevo, e coordinare la sfera lavorativa con quella familiare non è mai semplice per nessuna/o. Preso il ritmo, probabilmente anche lo stress riuscirò a gestirlo meglio, alla faccia del cortisolo che per adesso spadroneggia nel mio organismo.
In ogni caso, l'inizio di un anno scolastico è sempre denso di aspettative, progetti, ambiziose intenzioni di dare il meglio con tutta la passione di cui si è capaci, guardando al domani con smisurata fiducia. Ma non c'è solo questo bombardamento stimolante di novità che esaltano ed intimoriscono al tempo stesso.
Cominciare a lavorare stabilmente segna anche l'ingresso in un mondo in cui il tempo libero è ormai chimera e non esistono vie di fuga al dovere (per fortuna coincidente per lo più con il piacere, nel mio caso) dal Moloch dell'Istituzione.
Non mi lamenterò di certo, sacrosanto sia il lavoro, ma spero che confessare quella punta di malessere avvertita nelle primissime settimane davanti alla consapevolezza di non essere più "libera", non faccia di me una meschina ingrata.
La parola d'ordine, quest'anno più che mai, è sacrificio.
E se "il ruolo" è sicuramente un evento gioioso, che festeggio ogni giorno, mantengo comunque intatta la solidarietà per tutte/tutti coloro che ancora naufragano nell'incertezza di questo abominevole sistema dell'istruzione italiano.
Persino la Commissione Europea si è pronunciata contro il precariato scolastico, speriamo che sia la volta buona che la condizione indecente in cui versano gli insegnanti italiani stia per mutare radicalmente.
In effetti, quasi mi sento a disagio nell'essere tra i pochissimi eletti "a tempo indeterminato". Sarà che ho ascoltato troppo Gaber in passato e penso sempre a questa canzone:
Si sedie chi ha la sedia, dunque. Ma non è che "la sedia" sia sempre comodissima, eh?! Se penso a chi si è dovuto accomodare a centinaia di chilometri da casa, direi che a volte pare quasi una beffa questo privilegio, ma si dirà che bisogna accettare i cambiamenti a tutte le età, perché flessibili ci vogliono, sempre!
La mia sedia/ cattedra è nata divisa su tre fronti, per fortuna poi ridotti a due ( Ascione e Scaduto di Bagheria), ma è a Palermo, e questo è un ulteriore dono che gli dei mi hanno fatto quest'anno. Forse mi hanno fatto attendere due anni per questo motivo, chissà.
Dunque, prima che iniziassero le lezioni ho collezionato tre collegi dei docenti e due riunioni dipartimentali in cinque giorni, il che mi ha subito catapultato nelle varie attività collegiali che segnano fuori dalla classe il mestiere insegnante e che sono da sempre quelle che, come immagino la maggioranza delle mie colleghe e dei miei colleghi, meno digerisco.
E questo lo affermo malgrado sia un vero piacere trascorrere il tempo con loro e lo dico nonostante abbia conosciuto tre dirigenti scolastiche (tutte e tre donne!) che mi hanno fatto un'ottima, direi eccellente, impressione.
La parte più attraente per me, però, rimane la didattica. Il confronto con le studentesse e gli studenti, il dialogo continuo, dai risvolti sempre inediti e che ci consente di percorrere insieme strade ardite per conoscere ogni giorno qualcosa di nuovo.
Come ho già detto in un altro post, insegno materie che rendono questa collaborazione più "semplice", ma per me rimane sempre un miracolo che il "thaumazein" non solamente non sia sparito, ma che ci sia addirittura una richiesta bruciante di discutere con passione di argomenti filosofici (ed anche storici). Ciò che conta è metterli nelle condizioni di dialogare con i testi e con le fonti, così da esprimere le loro opinioni senza avere timore di sparare colossali idiozie.
L'intrusione della tecnologia sicuramente è il limite più grande alla loro concentrazione, ma le ragazze ed i ragazzi sono sempre migliori di come li troviamo rappresentati oggi.
Ciò che subentra nelle vite impegnate e frettolose dell'era tardo-capitalista è la paura di non essere in realtà più connessi ad altro che ad una rete internet. Si vive costantemente il rischio di fluttuare senza pensieri profondi, fino a perdersi nel nulla, nel mancato desiderio degli altri di tenerci vicino, nell'assenza di amore, nel dileguarsi delle voci che ci domandano come stiamo, che ne pensiamo della situazione x, cosa abbiamo mangiato a pranzo e cosa mangeremo a cena
Ritrovarsi superflui, inutili, non essenziali al corso del mondo è una sensazione comune.
Percepirsi particelle imperfette e senza acume. Destinate ad essere dimenticate, inghiottite, consumate, cancellate per sempre.
Forse sul serio non permane niente di noi. Non siamo sostanza, ma concime per i vermi, come ripeteva quel professor Keating che ha già fatto innamorare le mie ragazze ed i miei ragazzi, che ho sottoposto alla visione del cult "Dead Poets Society".
Questo terrore di essere sublimemente inessenziali combatte con la tensione a resistere, nella consapevolezza "che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso".
Per questo ho scelto di far vedere "L'attimo fuggente". Malgrado i suoi 35 anni di età, il film è tutt'altro che datato. E, come ho scritto nella richiesta di recensione post-visione, "tra i numerosi temi importanti che possono essere discussi a partire da esso, l'inadeguatezza del sistema tradizionale nel rispondere ai reali bisogni educativi degli allievi mi sembra che continui ancora oggi ad essere cruciale".
Tutte e tre le classi hanno seguito il film con intenso piacere, apprezzando moltissimo quest'invito ad emanciparsi dai pericoli del conformismo, cercando senza paura la propria voce, come unica possibilità concessa per non abbandonarsi ad una quiete disperazione. Di nozionismo e performance continue sono saturi. Vogliono lezioni di vita, vogliono sentire che le questioni li riguardano e possono persino commuoverli, se si trovano a parteciparne non in maniera passiva.
Il sapere deve essere e rimanere al centro del discutere e a furia di parlarne insieme, si svelano zone d’ombra di un contenuto che nella sua interezza per discenti e per docenti rimane- e deve rimanere- irraggiungibile.
Non si possono infatti cercare garanzie di solidita’ riguardo l'apprendimento, che resta un processo sempre aperto ed in divenire. Tuttavia, l’atteggiamento del buon insegnante, lungi dall’essere di disfattismo e irritante scetticismo, ritengo debba essere quello di chi, sottolineando la sua stessa fallibilita’ e precarieta’esistenziale, si sforza di restare vigile, continuando ad interrogarsi insieme alle ragazze ed ai ragazzi, senza ansie e senza eccessive semplificazioni.
L'insegnante non è un giullare né uno psicologo, sebbene sia preferibile sappia scherzare e ricorrere ad un’ironia socratica e sarebbe altamente auspicabile sappia instaurare relazioni empatiche. Ma il docente ha soprattutto la responsabilità di formare in un'età decisiva e tumultuosa qual è quella adolescenziale, in cui ognuna ed ognuno dovrà riuscire a dominare il caos per capire come fare della propria vita un'opera d'arte, remando contro il disincanto e la sensazione di naufragio in una società virtuale che umilia chi è stanco di apparire ovunque ed in ogni istante e cerca solo di essere sé stesso.
E se vuole formare aiutando nella faticosa scoperta delle passioni più importanti, deve ascoltare ed osservare da miliardi di punti di vista diversi le sue allieve ed i suoi allievi, senza mai ritenere esaurita l' indagine, mostrandosi anzi sempre pronto a rovesciare le faticose acquisizioni.
Qual è allora il ruolo dell'educazione in un tempo che ha smarrito una chiara visione del futuro e in cui l'idea di un modello unico e condiviso di umanità sembra essere il residuo di un'era ormai conclusa?
Come istituire autentiche relazioni educative, capaci di lasciare il segno negli educandi e negli educatori?
Chi è, poi, in definitiva il buon docente? Come si fa ad essere bravi professori? Basta la passione? Occorre solo tantissima "sapienza"?
Beh, non c'è una sola ricetta da seguire, ma esistono tanti modelli cui ispirarsi per tentare di rispondere concretamente a queste domande.
Un po' di prudenza è comunque indispensabile, perché accecati dall'idea missionaria si rischia di farsi abbindolare e passare per ingenui non degni di rispetto.
Per esempio, ho imparato solamente ieri sera che i compiti scritti non vadano mai più lasciati per casa, perché la tentazione di utilizzo di chatGPT è continua per un adolescente e ritrovarsi a lodare una recensione fatta da un robot non è una situazione per niente piacevole, ve lo assicuro, ma più per la propria autostima che non per la scoperta dell'atto fraudolento.
Intendo dire che l'espediente è stato adottato da fanciulle e fanciulli di ogni generazione, ed anche se questa I.A. può fare danni incredibili, la cosa veramente grave è farsi raggirare dai robot non distinguendo un compito autentico da uno falso!
La frontiera scolastica è diventata insomma particolarmente insidiosa, ma oggi come ieri, per me lo sforzo pedagogico rimane quello di accompagnare con pazienza le allieve e gli allievi, fornendo loro spunti e modelli esistenziali che incoraggino a desiderare e fare il bene, senza far calare dall’alto nozioni o prediche che susciterebbero solo risa e incomprensione.
Quella strada, quella rigida del programma tradizionale e della disciplina indiscutibile, mi pare sia solo la scorciatoia che richiede una fatica minima, ma alla lunga, almeno per me, paga poco.
Malgrado le delusioni sempre possibili in agguato, infatti, vedo ancora l'insegnamento come una traboccante avventura in cui bisogna lanciarsi con un dispendio impetuoso, che solo a stento si riesce a moderare.
Succhiare il midollo della vita, insomma, senza mai strozzarsi con l'osso!
Carpe diem!
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