"Vorrei passare dai dieci ai trenta per non subire questa tortura"
Jovanotti, I giovani, 1994
Che la generazione Z sia la generazione dell'ansia, non ci dovevano essere dubbi nemmeno prima che lo psicologo americano Haidt pubblicasse quest'anno "La generazione ansiosa" (che non ho ancora acquistato, ma prometto di leggere quanto prima).
Rovinati dai social, dal lockdown e da una comunicazione inesistente con padri evaporati e madri narcisiste, le ragazze ed i ragazzi occidentali di oggi vengono additati sempre più spesso come fragilissimi e pieni di turbe, anaffettivi e violenti, in una parola: sbagliati.
Il noto saggista Massimo Recalcati ama ripetere che all'origine del disagio giovanile attuale ci sia lo smarrimento del principio di differenza simbolica tra le generazioni, perché le vecchie non vengono riconosciute come autorevoli.
Inoltre, per lo psicoanalista la situazione è ancora più complessa, perché il vero problema è che viviamo in un tempo di libertà di massa, come mai è stato prima, e le ragazze ed i ragazzi fanno estrema fatica a riappropriarsi di questa dimensione così preziosa che è il desiderio, una vocazione che orienta la vita e che sarebbe compito degli adulti riaccendere nei ragazzi.
Potrei andare avanti per decine di capoversi citando vari autori ed autrici che riflettono sulle criticità della gioventù adolescente, ossia quel calderone dove si ammassano ragazze e ragazzi nati intorno al 2007/ 2008 e che vive oggi il drammatico e schizofrenico compito di costruire un'identità almeno doppia, reale e virtuale, impiegando perciò il doppio delle energie per non capitolare nell'estenuante lotta- fuori e dentro il web- per il riconoscimento tra pari, che si ingaggia a sedici anni.
Queste energie spesso non bastano e il nostro sistema tardo-capitalista sembra che non preveda comunque soste per consentire ai confusi, ai perplessi o ai più recalcitranti di comprendere come stare al gioco. E così veniamo a sapere di giovani che si rompono, crollano, si sfracellano, nella totale incomprensione adulta, che si manifesta nel balbettio di comode generalizzazioni che, come tutte le generalizzazioni, non sono mai in grado di spiegare niente. Placano l'angoscia, però, mentre tutto intorno continua a precipitare.
Vi incollo una riflessione consegnata ai miei alunni ieri sera su classroom, che abbiamo poi discusso stamattina in classe:
"Avere opinioni è il modo migliore per eludere l'obbligo di pensare." (Nicolás Gómez Dávila)
Leggo il giornale e soffro, scoprendo di una ragazza di quattordici anni che si è lanciata dal balcone ed un'altra che a quindici ha tentato il suicidio ingerendo un mix di farmaci.
Entrambe a Palermo, entrambe, per fortuna, salve.
Ma cosa può spingere due fanciulle a tentare di togliersi la vita?
Dàvila citato in apertura sconsiglierebbe di avventurarsi in farneticazioni irritanti, tuttavia non possiamo pensare senza opinare, perciò per quanto le mie opinioni si riveleranno futili, giuro che nascono dal desiderio di voler pensare con profondità a questo argomento terribile, che ogni educatrice ed educatore penso abbia il dovere di affrontare.
Cosa c'è alla radice del tormento, del sentirsi rifiutati?
E, soprattutto, come si disinnesca la violenza? Questa è la domanda a cui dovremmo tentare di rispondere insieme.
Come si combatte la tendenza ad aggredirsi l'un l'altro, anziché a sostenersi a vicenda?
I compiti di sviluppo degli adolescenti si riducono fondamentalmente ad uno solo, difficilissimo come nessun altro: la formazione di un'identità.
Quando si costruisce qualcosa, spesso si distrugge intorno per fare spazio, ma quando si costruisce una persona la demolizione che spesso si è tentati di portare avanti è quella dei simili intorno a noi.
Non ci sembrano esempi interessanti quelli più anzianotti perché la "misura" di sé stessi la si cerca in una dimensione più orizzontale, tra i propri coetanei, che sembrano modelli più interessanti con cui confrontarsi e da cui imparare tutto quello che a casa ed a scuola non è possibile imparare.
L'esperienza decisiva che ci fa crescere e diventare ciò che siamo si fa con coloro che appartengono alla propria generazione. E questo noi adulti lo dimentichiamo tutte le volte che soffriamo per la difficoltà nel comunicare con figli o con allieve ed allievi i nostri punti di vista.
Anche per noi, quando eravamo ggggiovani, i genitori e gli insegnanti erano poco digeribili.
E fa parte proprio del percorso di crescita metterli seriamente in discussione, instaurare un conflitto che aiuta a far venire fuori la personalità di chi cresce e deve ingaggiare una lotta per il riconoscimento che prevede questi passaggi di esclusione del mondo adulto.
Perciò, pazienza se noi grandi soffriamo rendendoci conto di non riuscire a fare presa come vorremmo su di voi. Bisogna imparare che ci sono dei limiti e tutto ciò che è in nostro potere fare è mostrarvi degli esempi, indicarvi delle strade, confidare che dalle ripetizioni di certe questioni, dal dibattito su certi argomenti, nasca e cresca con voi una forte e sicura coscienza morale, che vi tenga al riparo dal male, aiutandovi a compiere le scelte più sagge per la vostra fioritura.
Possiamo sforzarci, insomma, di imparare a governare la nostra ansia per il vostro futuro, impegnandoci nel nostro piccolo, senza potervi obbligare a comportarvi come vorremmo, perché non siete nostra proprietà, non siete nostri schiavi o burattini, ma avete vostre teste, inclinazioni, caratteri e desideri che avrete bisogno di esplorare e coordinare in modo autonomo.
Ma tra di voi come vi regolate? Come si ferma questa spirale di violenza inaudita che tutti i giorni condisce le pagine di cronaca? Come si interrompe questo bullismo? Questa cattiveria gratuita con cui a quest'età è così facile mettere in croce gli altri, tormentarli, schiacciarli ogni giorno con piccole, persistenti prevaricazioni che non hanno nessun altro scopo che illudere il torturatore di essere potente, forte, da temere e rispettare perché più violento, non perché più intelligente, più acuto, più simpatico degli altri.
Il suo unico merito è incutere timore, minacciare, aggredire, disturbare, rendendo la vittima sempre più debole, sopraffatta dalle sue angherie.
Se risponde, rischia di essere aggredita; se tace, rischia di aggredire sé stessa.
Si sente in trappola, senza vie d'uscita e pensa non ci siano alternative valide per uscire dalla situazione di derisione costante che non siano quella di isolarsi o addirittura, in casi estremi, di farsi fuori da sola. Privarsi del contatto con il mondo intero, pur di non dover sostenere ancora l'incontro con una sua piccola, violenta parte.
Dall'esterno le dinamiche le conosciamo tutte e tutti. Lo vediamo compiersi nei film, nei romanzi, nelle serie tv. Ci infastidiscono i bulli, li troviamo odiosi, ingiusti, insopportabili nella loro prevaricazione e siamo quasi per natura solidali con coloro che non riescono a difendersi e subiscono, assuppano, senza denunciare a nessuna figura adulta quanto sono in grado di inghiottire, cercando a fatica di venire fuori dalle sabbie mobili dell'imbarazzo continuo, delle battutine perpetue, del sistematico tentativo di logorare ogni straccio di autostima, così difficile da costruire a sedici/diciassette anni.
Vi racconterò una storia poco lusinghiera della mia biografia. Una mia compagna di liceo è stata presa di mira per tutti e cinque gli anni perché non emanava un buon odore. Non ero io ad orchestrare l'attività di dileggio, ma un gruppetto che si avvaleva anche delle mie risate per esercitare un potere quotidiano su di lei.
Non ho mai speso una parola a favore suo, non ho mai criticato indignata quel comportamento di perenne derisione. Era buffo prendere in giro la puzza (che era oggettiva, eh), non mi domandavo come stesse effettivamente lei, né cosa ci fosse davvero dietro quella disattenzione all'igiene.
Ridevo di lei, non con lei. Per superficialità o chissà per quale altro motivo.
Non l'ho mai più incontrata, sono trascorsi più di vent'anni dalla fine del nostro percorso scolastico, ma ho scoperto di recente che questa donna oggi è estremamente aggressiva, poco socievole e molto suscettibile.
Quanto avrà influito sul suo carattere quel perenne sfottò degli anni scolastici? Quanto avrà dovuto costruirsi una corazza per cercare di non farsi colpire più dal dileggio sprezzante degli altri?
Allora, negli anni Novanta, non c'era alcuna attenzione per queste dinamiche ed il termine bullismo non esisteva.
Ma io mi sento a disagio se penso a quello che ho accettato senza sforzarmi di mettermi nei suoi panni.
Perché ero troppo occupata a capire come stare nei miei, perché a quell'età, alla vostra età, tutto è mastodontico, gigante, furioso, questo lo ricordo, e creare gruppi, gruppetti, cercare affinità con qualcuno per rimarcare il territorio, inventare confini di appartenenza, "linee immaginarie", è una pratica quotidiana.
Io studiavo, uscivo con le amiche, leggevo, filosofeggiavo, ascoltavo musica, senza covare rancore verso nessuna e nessuno dei miei compagni.
L'amicizia era, anzi, il divertimento e la consolazione più alta e sublime. E senza quelle amiche ed amici di allora - che non erano bulli e bulle, eh- non sarei chi sono adesso.
Diventare buoni amici, senza sopraffarsi l'un l'altro, ma imparando a dialogare con rispetto delle differenze ed unicità di cui ciascuna e ciascuno è portatore, è una sfida enorme.
Ed è l'unico antidoto al bullismo, come si chiama oggi, alla prepotenza ed ai rapporti insani, come si chiamava allora tutto ciò che è il contrario della philìa , quel voler bene e prendersi cura che è lo stesso desiderio che muove, come ormai sapete, la ricerca filosofica.
Coltivare relazioni autentiche è ciò che vi auguro per non avvelenarvi domani, pensando a quanto sarebbe stato meglio se...
Quale che sia la posizione a cui credete di essere inchiodati, che siate vittime o bulli, siete ancora in tempo per cambiare tutto.
Non esistono trappole reali, ragazze e ragazzi, perché non siamo topi e si può sempre trovare un varco anche nelle situazioni che ci sembrano meno rosee.
"Carpe diem. Cercate di rendere straordinaria la vostra vita!"
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Non ci sono risposte definitive alle domande esposte in questo lunghissimo sproloquio. E poi forse l'emergenza educativa è tale costantemente, in ogni epoca, perché l'adolescenza è un'altalena russa che può strappare via la pace infantile per sempre, insinuando tante ferite che rimangono aperte e bruciano anche in età adulta.
Ma l'unica cosa che possiamo fare noi adulti è garantire l'ascolto, senza vestire i ragazzi e le ragazze di pregiudizi e comode etichette che sono sempre ingiuste, se non fuorvianti.
Una mia classe ha ad esempio dichiarato stamattina di non avere subito alcun trauma con il Lockdown, anzi, senza volere sminuire la tragedia che è stata per tutti, c'era un unanime rimpianto per quel periodo di spensieratezza vissuto nei loro dodici anni, quando potevano stare a casa senza doversi dannare i pomeriggi appresso a infiniti progetti, tornando esausti, spesso anche dopo lunghe sessioni di allenamenti, come accade loro nella quotidianità attuale.
Insomma, al di là del tempo libero in cui sperimentare il thaumazein e cimentarsi filosofe e filosofi intorno a questioni personali o cosmologiche, esiste anche il tempo vuoto, di pomeriggi trascorsi senza concludere alcunché.
E un poco di sano cazzeggio non ha mai fatto male a nessuno, mi pare, invece questo residuo di inutilità parassitaria per la nostra aberrante visione della società iperconnessa ed iperproduttiva è solo un sacrilegio da fuggire ad ogni costo.
Produci, consuma e crepa sommerso dai rifiuti tuoi e di tutti quelli che ti hanno preceduto. E più non dimandare.
Se sono confusi, ansiosi e talvolta parecchio depressi, insomma, non consideriamoli sbagliati o poveretti senza speranza, ma cerchiamo di interrogarci sulle nostre responsabilità nell'aver lasciato loro in consegna questo mondo pieno di crepe e deserti, che non sappiamo quanto reggerà ancora la nostra ingrata specie, ma saranno proprio loro quelli che dovranno abitarvi e tentare di aggiustare.
Direi che l'ansia è giustificatissima. Voi che dite?
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