Libro che, come si evince dalla copertina stropicciata, ho"vissuto"abbastanza |
Sono passati alcuni mesi dalla mia lettura del bel libro del filosofo Byung Chul Han.
Al di là di tanti spunti interessanti, vi ho trovato una critica spiazzante alla Vita Activa di Hanna Arendt, per via dell' incapacità di quest'ultima di fornire adeguati strumenti concettuali per leggere la società della prestazione in cui viviamo oggi, il che mi ha costretto a rivedere alcune considerazioni personali che non avevo mai tentato, finora, di mettere in discussione.
Forse tornerò su quella potente "decostruzione" del testo arendtiano, ma per adesso voglio solamente riportare dei passi contenuti nel capitolo "L'assoluta penuria dell'essere", che precede quello in cui avverrà la polemica con la filosofa (che, a parer mio, costituisce il vero bersaglio dell'intero volume di Han. Leggetelo e mi farete sapere!).
Lo stile del filosofo sudcoreano è estremamente asciutto, chiaro e scorrevole, per cui non ci sarà bisogno di azzardare alcuna spiegazione dei brani che riporterò solamente per il gusto di condividerli con voi, mio gradito pubblico immaginario. Ecco a voi:
"Nella società della prestazione neoliberista non si forma alcun Noi. Il regime neoliberista incrementa la produttività isolando le persone e abbandonandole tra le grinfie di una concorrenza brutale. Esso trasforma la vita in una lotta per la sopravvivenza, un inferno di concorrenza scatenata.
Il successo, la prestazione e la competizione sono forme di
sopravvivenza.
Anche la digitalizzazione mina l’essere quale essere
insieme. Essere collegati non è la stessa cosa che essere legati, anzi è proprio questa
connessione senza limiti a indebolire il legame. Un rapporto intenso presuppone
l’Altro, che può rendersi indisponibile. Grazie però alla rete delle
connessioni digitali trasformiamo l’Altro, il Tu, in un Es disponibile, e ciò
conduce a una solitudine primordiale.
Un oggetto consumabile, capace di soddisfare i nostri
bisogni, non permette un legame intenso. Di conseguenza, malgrado l’incremento
delle connessioni e della connettività, siamo più soli che mai."
Come dicevo, non credo occorrano parafrasi retoriche e stucchevoli da parte mia. Solo una precisazione: i corsivi sono originali, il neretto è mio.
Prosegue Byung Chul Han:
"Quando investiamo un oggetto mediante energie libidinose nasce un rapporto intenso. Un riflusso delle energie psichiche fa tuttavia in modo che tali energie non si dirigano verso l’Altro, bensì rifluiscano nell’Io. Tale fenomeno psichico, vale a dire l’accumulo di energie libidinose non occupate, ci rende ansiosi.
L’angoscia emerge in assenza di un legame con l’oggetto. Allora l’Io, ricacciato in se stesso, non fa che girare in tondo senza mondo.
L’assenza dell’eros acuisce la carenza dell’essere. Solo l’eros
può trionfare sulla paura e la depressione."
"La carenza dell’essere innesca un eccesso di produzione. L’odierna iperattività e l’odierna ipercomunicazione si lasciano interpretare come una reazione all’imperante penuria dell’essere, cui viene contrapposta la crescita materiale.
Noi produciamo contro un senso di carenza.
La produzione raggiunge quindi il suo zenit al nadir dell’essere.
Il capitale è
una forma di sopravvivenza: il capitalismo è alimentato dall’illusione che un
aumento del capitale generi un aumento di vita, di potere applicabile alla
vita, ma questa è una nuda vita, una forma di sopravvivenza”.
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