Sottrarsi all'AUT AUT: o amore o lavoro!

 

Alexandra Kollontai, 31 marzo 1872 -9 marzo 1952



Voglio distogliermi dalla sgradevole sensazione procurata da questo incipit di venerdì 17.

Dopo mesi di silenzio, mi è arrivata stamattina una convocazione per una supplenza di 18 ore fino al 14 dicembre.
Nella mail leggo che sono prima, spetta a me, evviva, finalmente per un mesetto scarso potrò allontanare lo spettro avvilente della disoccupazione (nella quale verso, malgrado vincitrice di concorso, ma di questa anomalia tutta italiana ho già discusso nei miei strali su fb, cfr qui: stoicismo)!

E no, povera illusa, devo rinunciare, perché giusto giusto sarò in viaggio di Cozze (come dice mia figlia Anna) e di non andare a Cuba proprio non se ne parla.

Io voglio e devo lavorare ma, colleghe e colleghi cari, a questo punto ammalatevi dopo le feste, o almeno al mio rientro, fatemi questa cortesia!

Meglio riderci su, ma ora torno seria.

A proposito del lavoro che, nel mio specifico caso, pare in contraddizione con l'amore, mi torna in mente quanto diceva Alexandra Kollontai, rivoluzionaria marxista e prima donna al mondo diventata Ministro, che un secolo fa ha lasciato parole meravigliose che continuano ad essere ispiratrici per tutte le donne che vogliono essere libere e custodire la loro insopprimibile libertà.

Eccole:


"Affinché non nascano malintesi debbo subito dire a questo punto che sono ancora molto lontana dal tipo nuovo di donna abituata a prendere le sue esperienze con relativa leggerezza e, si direbbe, con felice superficialità; i cui sentimenti e le cui energie psichiche sono diretti a tutte le altre cose della vita, e quindi non solo ai sentimentalismi della vita emotiva. Io appartengo infatti ancora a quella generazione di donne cresciute nel bel mezzo della svolta storica.

 L'amore con le sue molteplici delusioni, con le sue tragedie, con la sua eterna richiesta di felicità completa e totale, aveva ancora un ruolo grandissimo nella mia vita. Un ruolo troppo, davvero troppo grande.

 Dico troppo, perché in tal modo andavano sprecati inutilmente molto tempo e preziose, molto preziose energie, e, a conti fatti, futilmente. 

 Noi donne della generazione passata non avevamo ancora capito cosa significasse essere libere . 

Era uno sperpero davvero incredibile di energie psichiche, una riduzione della nostra forza produttiva, che si esauriva in una serie di sterili esperienze emotive .

 […] 

 Era in realtà un’eterna guerra difensiva contro l’assalto dell’uomo nella nostra interiorità, una lotta il cui terreno si riduceva a questo problema: lavoro, oppure matrimonio e amore.


 Noi, la generazione più anziana, non avevamo ancora capito, come invece hanno capito la maggior parte degli uomini e come anche le giovani donne oggi stanno imparando, che lavoro e desiderio d’amore possono benissimo armonizzarsi l’un l’altro, sì che il lavoro rimanga lo scopo principale dell’esistenza


Il nostro errore stava nel fatto che noi nell’uomo che amavamo credevamo di trovare ogni volta la persona esclusiva, l’unica con la quale poter fondere la nostra anima, l’unica persona disposta a riconoscerci pienamente come forza spirituale e corporea insieme. Ma sempre avveniva il contrario poiché l’uomo tentava di imporci il suo io e di assimilarci completamente a se stesso.

 E così nasceva in tutte, sempre rinnovata, l’inevitabile ribellione interiore, poiché l’amore diventava schiavitù.

 Ci sentivamo schiavizzate e tentavamo di sciogliere i legami affettivi e, alla fine di questa lotta che si riproponeva perpetuamente con l’uomo amato, ci strappavamo da queste catene e correvamo verso la libertà. 

Allora ci ritrovavamo nuovamente sole, infelici, senza nessuno, ma libere, libere di intraprendere un’attività da noi scelta e quindi amata”- 

Alekandra M. Kollontai, Autobiografia , 1926


Gli sprechi e la mancata considerazione del ruolo centrale del lavoro e dell'indipendenza economica come prioritaria su ogni altra questione perché le donne possano sentirsi libere, purtroppo continuano a riguardare moltissime donne. Me compresa, dal momento che, come ribadito all'inizio, permango demoralizzata nella disoccupazione.

Ma, come recita il titolo di questo post, bisogna sottrarsi all'Aut Aut, che fa intendere la scelta del lavoro qualcosa da attuarsi in contrapposizione alla vita da amante, compagna, madre, zia, nonna e così via.

Come aveva scritto la stessa Alexandra Kollontai in un discorso meraviglioso che compie cent'anni proprio quest'anno,

 Il difetto permanente dell'amore così com'è al giorno d'oggi è che, assorbendo i pensieri ed i sentimenti dei «cuori amanti», esso distacca e isola la coppia innamorata dal resto della collettività. 

Questo accantonamento della «coppia innamorata», questo isolamento morale da una collettività in cui i compiti, gli interessi, le aspirazioni di tutti i membri formeranno una trama complessa e compatta, diventerà non solo superfluo, ma psicologicamente irrealizzabile. In questo mondo nuovo, la forma riconosciuta, normale ed auspicata di unione dei sessi sarà probabilmente fondata sull'attrazione sessuale sana, libera e naturale (senza eccessi né perversioni), insomma su un «Eros trasfigurato».

Ma per il momento ci troviamo ancora in una fase di svolta tra due culture. Durante questo periodo di transizione, insieme alla lotta accanita dei due mondi su tutti i fronti, compreso quello ideologico, il proletariato ha interesse a favorire al più presto e con ogni mezzo l'accumulazione delle riserve di «sentimenti di simpatia». In questo periodo, l'ideale morale che determina i rapporti sentimentali non è il mero istinto sessuale, bensì una grande varietà di emozioni amorose e di solidarietà, tanto per gli uomini quanto per le donne. Per rispondere agli imperativi della nuova, nascente morale proletaria, queste condizioni devono essere fondate su tre principi basilari:

1. Uguaglianza reciproca (nessuna predominanza maschile né schiavitù e annullamento della personalità della donna nei rapporti d'amore).

2. Riconoscimento reciproco dei diritti dell'altro, il che esclude la pretesa di possedere interamente il cuore e la anima del partner (sentimento di proprietà creato e conservato dalla cultura borghese).

3. Sollecitudine da compagni, attitudine ad ascoltare e comprendere i moti dell'animo dell'essere caro (la cultura borghese esigeva questa sollecitudine nell'amore unicamente da parte della donna).

Ma, pur proclamando i diritti di Eros alato (l'amore), l'ideologia della classe operaia subordina l'amore reciproco tra i membri della collettività ad un sentimento più imperioso: l'amore-dovere verso la collettività stessa. Per quanto grande sia l'amore che lega i due sessi, per quanto numerosi siano i legami di cuore e di spirito che intesse tra di loro, i vincoli dello stesso tipo con l'intera collettività debbono essere ancora più forti, più numerosi, più organici. 

La morale borghese esigeva: tutto per l'essere amato. La morale proletaria prescrive: tutto per il collettivo.


Potete trovare la versione integrale qui: Lode a Eros alato!

Che dire, dunque?

Amare, amare ed ancora amare, il lavoro prima di tutto, e poi compagni, familiari, amici, amiche, figlie e figli, scrollandosi di dosso inquietudini e minacce, mantenendosi in benevola attesa di sorprese o conquiste più che legittime, per mettersi al servizio di tutti coloro che riescono ad apprezzare il nostro impegno. Talvolta anche retribuendolo, che male non fa!


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