LIBERARE LE MENTI CON GIOIA




“Se un uomo si aspetta che una donna sia un angelo nella sua vita, deve prima creare il paradiso per lei. Perché gli angeli non vivono all'inferno”, 

Klodiana Vefa, uccisa a 35 anni dall'ex marito a Castelfiorentino il 28 settembre 2023

Klodiana Vefa


 Per Klodiana e le tante, troppe donne tragicamente uccise da maschi retrogradi e violenti, penso sia giunto il momento di recuperare lo slancio delle femministe del passato e crearci quel paradiso da sole, senza aspettare che siano i nostri atavici oppressori a regalarci un posto migliore in cui abitare ed esprimere le nostre potenzialità represse per secoli.

In questo post mi soffermerò su due punti che considero cruciali: 

la  decostruzione della psicologia delle oppresse e l'atteggiamento gioioso con cui sarebbe preferibile, a mio avviso, portare avanti la lotta per l'emancipazione femminile.


1) RIVOLTA CONTRO LA MENTE OPPRESSA

Donne si diventa a fatica, senza risparmiarsi nessun ribaltamento profondo di visioni e modi di essere che spesso replichiamo di generazione in generazione, finché non si scopre che c'è un altro modo di esistere e relazionarsi con il prossimo. 

Adattarsi masochisticamente ad una realtà ingiusta, come accade a Delia, la protagonista del meraviglioso (per me) film della Cortellesi che sta spopolando nei nostri cinema, appariva naturale nel secondo Dopoguerra ma anche fino agli anni Settanta, prima dell'ondata di quel femminismo radicale che fece tremare potentemente l'ordine patriarcale. E appare ancora oggi l'unica strada possibile a moltissime donne, anche in Occidente.

Mantenere viva la lotta contro ogni forma di patriarcato ed oppressione non è semplice. 

La prima, più pervicace ed ostinata forma di oppressione riguarda la stessa mente delle oppresse, che deve liberarsi  dallo schiavismo e masochismo che ancora oggi strisciano silenziosamente- talvolta in mezzo a sporadici, ingenui desideri di ribellione- nelle interiorità di molte di noi.

Le seguenti parole di Kate Millett del 1970 risultano sempre attuali per ricordarsi quanto occorra lavorare instancabilmente contro questi spettri di passività della psiche femminile, che si traducono in sguardi svuotati e spenti ed in dolorose, insensate rinunce:


"L'oppressione crea una psicologia dell'oppresso.

 Il marxismo, per quanto sagace nell'analizzare la situazione economica e politica (...), ha spesso trascurato, forse con inquieta costernazione, di rilevare come gli oppressi siano profondamente corrotti dalla loro situazione, come invidino e ammirino senza limiti i loro padroni, completamente inquinati dalle loro idee e dai loro valori, e come perfino il loro atteggiamento nei confronti di se stessi sia dettato da coloro che li posseggono."

E ancora:

"Imasochismo fa parte del ruolo femminile. 
È un tratto femminile e io sono stata condizionata a farlo mio, anche inconsciamente. Tuttavia, masochismo è un termine assolutamente inesatto. 
Se veniamo spinte a un comportamento così autodistruttivo, è perché la nostra società è decisa a distruggere qualcosa nelle donne, a distruggere il loro io, il rispetto di se stesse, la loro speranza, il loro ottimismo, la loro immaginazione, la loro sicurezza, la loro volontà
Questo «masochismo» in realtà, non è che un meccanismo d'adattamento, come lo si crea in ogni gruppo oppresso per farlo sopravvivere. 
Perché, se i membri di questo gruppo non cooperano alla propria oppressione interiorizzando l'odio e il disprezzo del loro oppressore, la loro insubordinazione diventerà evidente ed essi verranno puniti e forse periranno. Questo non è molto difficile da capire se si osserva il comportamento di altri gruppi socialmente subordinati."


 Kate Millett, 1970



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2) LA GIOIA CON CUI CAMBIARE LA FORMA DI VITA

La liberazione non è un processo noioso, serioso, punteggiato da comizi solenni o convegni impettiti, scorpacciate di saggi, pianti e stimolanti o avvilenti sedute psicanalitiche.
Non ci si libera dalla tendenza alla subordinazione tramite partecipazioni a conferenze o meditando a fondo sul senso delle parole preziose di tante compagne che si sono spese per smantellare il dominio maschile da più punti di vista (ed alle quali andrà sempre tutta la nostra gratitudine!).

Tutte queste occasioni formative sono indispensabili per focalizzare l'obiettivo, accrescere la consapevolezza della condizione femminile e trovare alleate per portare avanti un'impresa che è sempre rischioso condurre in solitudine. 
Ma il vero percorso lo si attua quotidianamente, senza trascurare il potere sovversivo dei nostri corpi in movimento e danzanti, dell'allegria scomposta e delle spiazzanti risate con cui disarmare i nostri eventuali persecutori.

Rosi Braidotti scriveva nel 1995:

La visione deleuziana del soggetto corporeo che utilizzo nel mio lavoro implica che il corpo non può essere pienamente compreso o rappresentato: il corpo eccede la rappresentazione. Insisto su questo punto perché sin troppo sovente nella teoria femminista il livello di "identità" viene allegramente confuso con le tematiche della soggettività politica. 
L'identità ha un vincolo privilegiato con i processi inconsci- che sono intrecciati con il corporeo-  mentre la soggettività politica è una posizione conscia e sostenuta dalla volontà.
 Il desiderio inconscio e la scelta sostenuta dalla volontà sono due registri differenti. 
Il mio accento cade sulla positività del desiderio, sulla sua forza produttiva. Vorrei comprendere il femminismo non solo nei termini di impegno della volontà verso una gamma di valori o di convincimenti politici, ma anche in termini di passioni etiche e del desiderio che le sostiene.
Ciò che il femminismo libera nelle donne è il loro desiderio per la libertà, la leggerezza, il senso del giusto e l'auto-realizzazione . 
Questi valori non sono solamente delle convinzioni politiche razionali, ma anche oggetti di desiderio intenso. Questo spirito gioioso era ben manifesto agli albori del movimento delle donne, quando era chiaro che la gioia e la risata erano profonde emozioni politiche e affermazioni di principio. 
In questi giorni di tristezza postmodernista non sopravvive molto di questo battito gioioso, eppure faremmo bene a ricordare la forza sovversiva della risata dionisiaca
Una dose salutare di ermeneutica del sospetto verso le proprie convinzioni politiche non è una forma di cinismo o di nichilismo, ma piuttosto un modo per fare tornare la politica alla pienezza, alla corporeità e, di conseguenza, alla parzialità dell'esperienza vissuta.
 Mi auguro che il femminismo si liberi della sua modalità tristemente dogmatica e riscopra la gioia di un movimento che punta a cambiare la forma della vita.

Rosi Braidotti, 1995  


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Che Dioniso sia con noi! 

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