“Se un uomo si aspetta che una donna sia un angelo nella sua vita, deve prima creare il paradiso per lei. Perché gli angeli non vivono all'inferno”,
Per Klodiana e le tante, troppe donne tragicamente uccise da maschi retrogradi e violenti, penso sia giunto il momento di recuperare lo slancio delle femministe del passato e crearci quel paradiso da sole, senza aspettare che siano i nostri atavici oppressori a regalarci un posto migliore in cui abitare ed esprimere le nostre potenzialità represse per secoli.
In questo post mi soffermerò su due punti che considero cruciali:
la decostruzione della psicologia delle oppresse e l'atteggiamento gioioso con cui sarebbe preferibile, a mio avviso, portare avanti la lotta per l'emancipazione femminile.
1) RIVOLTA CONTRO LA MENTE OPPRESSA
Donne si diventa a fatica, senza risparmiarsi nessun ribaltamento profondo di visioni e modi di essere che spesso replichiamo di generazione in generazione, finché non si scopre che c'è un altro modo di esistere e relazionarsi con il prossimo.
Adattarsi masochisticamente ad una realtà ingiusta, come accade a Delia, la protagonista del meraviglioso (per me) film della Cortellesi che sta spopolando nei nostri cinema, appariva naturale nel secondo Dopoguerra ma anche fino agli anni Settanta, prima dell'ondata di quel femminismo radicale che fece tremare potentemente l'ordine patriarcale. E appare ancora oggi l'unica strada possibile a moltissime donne, anche in Occidente.
Mantenere viva la lotta contro ogni forma di patriarcato ed oppressione non è semplice.
La prima, più pervicace ed ostinata forma di oppressione riguarda la stessa mente delle oppresse, che deve liberarsi dallo schiavismo e masochismo che ancora oggi strisciano silenziosamente- talvolta in mezzo a sporadici, ingenui desideri di ribellione- nelle interiorità di molte di noi.
Le seguenti parole di Kate Millett del 1970 risultano sempre attuali per ricordarsi quanto occorra lavorare instancabilmente contro questi spettri di passività della psiche femminile, che si traducono in sguardi svuotati e spenti ed in dolorose, insensate rinunce:
"L'oppressione crea una psicologia dell'oppresso.
Il marxismo, per quanto sagace nell'analizzare la situazione economica e politica (...), ha spesso trascurato, forse con inquieta costernazione, di rilevare come gli oppressi siano profondamente corrotti dalla loro situazione, come invidino e ammirino senza limiti i loro padroni, completamente inquinati dalle loro idee e dai loro valori, e come perfino il loro atteggiamento nei confronti di se stessi sia dettato da coloro che li posseggono."
E ancora:
"Il masochismo fa parte del ruolo femminile.
È un tratto femminile e io sono stata condizionata a farlo mio, anche inconsciamente. Tuttavia, masochismo è un termine assolutamente inesatto.
Se veniamo spinte a un comportamento così autodistruttivo, è perché la nostra società è decisa a distruggere qualcosa nelle donne, a distruggere il loro io, il rispetto di se stesse, la loro speranza, il loro ottimismo, la loro immaginazione, la loro sicurezza, la loro volontà.
Questo «masochismo» in realtà, non è che un meccanismo d'adattamento, come lo si crea in ogni gruppo oppresso per farlo sopravvivere.
Perché, se i membri di questo gruppo non cooperano alla propria oppressione interiorizzando l'odio e il disprezzo del loro oppressore, la loro insubordinazione diventerà evidente ed essi verranno puniti e forse periranno. Questo non è molto difficile da capire se si osserva il comportamento di altri gruppi socialmente subordinati."
Kate Millett, 1970
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