Una giostra in macerie a Beit Hanun, nel nord della Striscia di Gaza, fotografata durante un cessate il fuoco, 26 luglio 2014 (MARCO LONGARI/AFP/Getty Images) |
Questo post comincia con un'ammissione di sostanziale e colpevole ignoranza sulla questione palestinese e con la conseguente rivendicazione di colmare le lacune, tentando di approfondire, nei limiti del possibile, un argomento enorme, che in queste ultime ore si sta prestando alle più pericolose opere mistificanti e demagogiche, senza trovare nei media italiani il giusto, necessario spazio di riflessione attenta e lucida che, sola, potrebbe aiutare nella comprensione della catastrofe attuale.
Le dinamiche riguardanti gli accadimenti dell'area medio orientale sono certamente complesse e, proprio per questo, rappresentano una sfida che ogni cittadina e cittadino europeo penso dovrebbe accettare, senza accontentarsi di impossibili e fuorvianti semplificazioni.
Diffondere dati non basta. Ricucirli insieme tenendo sempre bene a mente il contesto in cui si propongono sarebbe già più onesto.
Ed è per questo che, come ho già fatto ieri su facebook (mi ripeterò per chi mi ha già letto lì, scusate) segnalo anche qui la maratona di più di sei ore organizzata da Andrea Colamedici di Tlon dal titolo Ricomporre il conflitto, andata in diretta su facebook martedì 17 ottobre e che si può trovare registrata anche su youtube.
Karem Rohana nel suo intervento alla martona a partire dal minuto 4:27:52 |
Marco Longari, Case distrutte e sullo sfondo un minareto nel nord della Striscia di Gaza, 3 agosto 2014 |
Gaza |
Il problema di fondo dei palestinesi persiste, lungi dall'essere risolto, e la storia vi ha costruito attorno e moltiplicato in maniera sinistra i suoi paradossi. Come ho già avuto modo di affermare, i palestinesi vivono un destino del tutto particolare: sono stati perseguitati prima, ai tempi dell'insediamento coloniale sionista, perché presenti in Palestina e, successivamente, in quanto assenti dalla loro terra. Eppure, anche se reietti e considerati transnazionali, stranieri, non entità all'interno dello stato di Israele, sono stati riconosciuti come parte essenziale, o centrale, del problema del Medio Oriente. Nel 1974 più di cento paesi delle Nazioni Unite accettarono l'Olp come unico legittimo rappresentante del suo popolo; eppure, proprio quelle nazioni maggiormente coinvolte nel problema hanno continuato a rimettere in discussione non solo quella decisione, ma la stessa esistenza di un'identità palestinese. (...) E' infatti la semplice esistenza dei palestinesi, presenti ovunque ma senza un proprio paese, a essere vista dagli stati della regione come un problema che riguarda, e pesa su, tutti gli altri.
E ancora, il lessico concettuale usato per inquadrare i palestinesi e definire le questioni a essi connesse (e persino i termini usati per descriverli) è la prova dell'esistenza di un sistema efficiente e afasico, teso a schematizzare la loro realtà e a rendere i loro bisogni, la loro storia, cultura e vita politica, delle parole impronunciabili. Esempio tipico il fatto che in Occidente i palestinesi, secondo gli schemi israeliani- vengono subito associati al terrorismo. (...)
Per lo stato ebraico i palestinesi o sono dei "terroristi" oppure dei semplici dati essenzialmente non politici (perché non ebrei) che emergono dalle statistiche o, infine, sudditi docili e utili. Tra questi ultimi i circa 80mila pendolari palestinesi provenienti da Gaza o dalla Cisgiordania che soddisfano le necessità del mercato del lavoro israeliano, anche se si tratta di posti di bassa manovalanza da "tagliatori di legna e portatori d'acqua".
L'aggettivo "arabo" nel linguaggio corrente israeliano è così sinonimo di sporco, stupido e incompetente. Ogni altro paese responsabile di questo tipo di sfruttamento- apertamente basato sulla discriminazione razziale- verrebbe universalmente condannato dall'Occidente democratico e liberal, ma trattandosi di Israele, non solo viene assolto, ma persino portato come esempio.
Com'è possibile tutto ciò? La risposta è semplice. Lo stato ebraico è riuscito a chiudere i suoi occhi e quelli del mondo su ciò che è stato fatti ai palestinesi.
Ancor più grave è il fatto che un'intera falange di intellettuali e pensatori occidentali (per esempio quelle figure di spicco che si schierarono con Israele quando l'Unesco la condannò per le iniziative prese a Gerusalemme) esalta imprese i cui dati oscuri, in termini nazionali e umani, hanno rovinato l'esistenza di un intero popolo.
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