John e Sam si rincontrano

 

Victor Vasarely, fondatore della Op art. Il quadro è esposto al Museo Thyssen-Bornemisza  di Madrid

J: “Guarda il fiore, fissato nella terra ed incapace di muoversi...è così deprimente.”

S: “Pensi di non essere un vegetale tu, ma in realtà vegeti più di lui quando stai fermo in poltrona a leggere il giornale!”

J:“Ma non mi hai visto quando nuoto per ore come un pesciolino!”

S:“Purtroppo non avete in comune il mutismo.”

J:“Facciamo finta che tu sia una pianta e dimmi cos’è un uomo per te”

 S:“Ah, quante cose avrei da dire. Comincerei così:

«Mio caro uomo, tu non sai volare ma resti attaccato al nido, dai fastidio come una zanzara, ma nessuno ti schiaccia con facilità. Sbavi come una lumaca ma non hai la dignità di trascinarti appresso la tua casa, disseminando tanto dolore intorno.”

J: “Ma come sei allegro, Sam.. “

S:“ Cosa c’entro io? È la pianta, poverina…lasciala parlare una volta tanto.”

J:“Va bene, sentiamo il suo lamento.”

S:“Ecco, prosegue così:

«Tante volte vorresti sbranare i tuoi nemici come un lupo, ma c’è sempre qualcuno pronto a farti sentire agnellino. Altre volte, scodinzoli affettuoso all’amico fedele che presto pugnalerai. Ti comporti spesso da porco, ma da te non si cava alcuno spazzolino…Sei bravo solo ad avvelenare come le puzzole,  anche se non attaccato, e a dormire come un orso in letargo, aspettando che un leone ti dica cosa fare. Non sarai mai gazzella e neppure tigre. Più spesso struzzo, per non vedere l’orrore da te compiuto.

E la furbizia della volpe che raramente ostenti, va dissolvendosi nel tuo farti coniglio, non appena ti rendi consapevole della tua mortalità e ti lasci vincere dalla paura.

Allora inizi ad imitare come una scimmia il bello e a cercare la grazia di una giraffa nel tenerti più vicino il cielo che ignori.

Ma dura pochi istanti. Quando invecchi o ti ammali, ti trovi a strisciare come un animale ferito che cerca intorno compassione e ripensi a tutte le specie che sei stato senza mai capire quale fosse veramente quella umana.

Così torni a vegetare nella meditazione, chiudendo il ciclo che ti ha ricondotto ad essere meno di un tubero, finché il seme avrà smesso di generare e tornerai la polvere di niente che sempre, anche quanto ti sentivi un possente felino, in realtà tu sei stato.

Abbi il coraggio di non riprodurti, uomo! Sei un errore del ciclo vitale e presto ti estinguerai, finalmente. E neanche le parole di pietra che lascerai nei tuoi scritti mineralizzeranno più alcuna cultura. Perché nessuno ti leggerà mai. Arrenditi al nulla, come dall’eternità faccio io!

La sciocca speranza che ti rende succube dell’ambizione nel lasciare qualcosa di te a questo mondo è ciò che ti rende diverso dagli animali che sanno benissimo vivere per vivere, senza ansia di immortalità alcuna, espletando la loro funzione non disturbando gli altri esseri oltre misura, come solo tu sei capace di fare.

Questa è la differenza tra te e gli animali, che non possono fare, come me ed i miei cugini alberi, mai del male, se non per inseguire l’istinto naturale legato alla sopravvivenza.

Il più inquietante degli esseri viventi, ecco cosa sei.

Perché il cosmo dovrebbe essere stato fatto per te?”

J: “Mamma mia. Una pianta heideggeriana, probabilmente carnivora.. Beh, non riuscirai a convincermi che sono un animale crudele e basta, Sam ”

S:“Fai come vuoi”

J: “Ognuno ha i suoi guai, ciascuno le sue malattie e le sue volontà di potenza destinate ad essere deluse. L’uomo  subisce il travaglio del bilico tra resa e resistenza e quando immagina gli altri perfetti, saldi, capaci di vivere felici e realizzati, beati come bestie che però sanno di essere beate, lo fa sempre perché chi soffre vuole trovare unico il suo dolore per permanere in esso, senza più riprendere la lotta. Questo è ciò che distingue l’essere umano, caro John, essere lotta!”

S:“Ed anche poesia e musica, mi dirai”

J:“Talvolta. Certamente Gadamer mi ha insegnato a lottare trovando continuamente il monito per proseguire l’arricchimento dell’essere nella vita stessa, nel dialogo autentico. In fondo è questo che cercava Gadamer, molto più dell’esistenza autentica che, in fondo, non è che il riflesso di quello. Solo chi sa porsi in autentica disposizione d’ascolto, infatti, lasciandosi trasformare dal punto di vista dell’altro, può perseverare nel suo stesso essere e la malinconia di trovarsi da solo a sopportare il peso dell’esistere, il pericolo delle bugie, l’inesorabile indebolimento dell’organismo e la progressiva, inevitabile perdita dei ricordi di gioventù, pare svanire quando ci si incontra.

Chi si chiude a recitare drammi intonati soltanto per inseguire una verità personale o si crede già un Dio o è del tutto pazzo, fuori di senno. Perché il senno è unicamente dentro il discorso che è il dialogo per gli uomini, dal momento che il Logos spetta agli Dei soltanto.

Quella umana è una razionalità pratica, tesa volta per volta ad affrontare problematiche legate alla sopravvivenza, per modulare i desideri, salvare ciò che il divenire rischia di annientare e progettarsi in avanti..inseguire la vita permettendole di mantenere il suo flusso con dolcezza, senza che venga violentata la miracolosa condizione d’equilibrio di cui l’essere umano è costretto a riconoscere la necessità, se vuole vivere sano e salvo dalla pazzia. “

S:“Non esiste genialità e non c’è spazio nemmeno per la violenza nella tua bella Gadamerland”

J:“Tutto ciò che è violento è l’illimitato. E lo si può sempre limitare. Il nulla non è mai possibile e si rivela come l’altra faccia del male, in una vita che per mantenersi aperta all’altro deve invece perseguire il  Bene, riconoscendolo concreto nelle opere, nei gesti, nelle parole pronunciate in buona eumeneia, nel momento più opportuno.

Questo non è  un ideale di vita, Sam. È la descrizione fenomenologica del lottatore che ha imparato faticosamente, a furia di cadute e fallimenti, come poter calibrare ogni colpo d’attacco e di difesa, consapevole dei suoi limiti e delle sue capacità, desideroso però di vincere qualcosa giorno per giorno, senza lasciarsi fiaccare dall’immobilità che alla fine è la vittoria tanto della morte, quanto dell’autocoscienza infelice, che si illude di guadagnare vette altissime monologando con sé stessa e restando oltre ogni possibile, vera libertà.”

S:“Cosa c’entra la libertà?”

J:“La libertà si dà solo nel movimento di liberazione, si o no?”

S: “Sì”

J:“ E l’ermeneutica libera, suggerisce come non arrendersi alla schiavitù, perché ogni ermeneuta autentico crede fortemente che possa liberare solo il linguaggio vero, cioè quello che si rivolge ad un Tu che partecipa con me nella prefigurazione di nuovi precari sensi che la parola occulta o svela, a seconda della diligenza riposta dai parlanti nel mostrarne l’impressionante affinità, tanto con la vita, quanto con l’essere.

La parola è la misura, ciò che si situa nel mezzo tra ciò che la vita non può dire e ciò che non ha nemmeno bisogno di parole, com’è l’essere.

La parola ausculta l’essere della vita, intrecciando la vita dell’essere, solo finché si parla insieme”

S:“Ma tu credi davvero che qualcuno riesca ad inserirsi nella prospettiva dell’altro? Pensi sul serio che la storia sia una sinfonia maestosa, capace di sopraffare i rumori e i canti stonati dei singoli?”

J:“Ci devo credere e devo sperarlo, proprio perché non sono né una pianta né un ippopotamo. E nemmeno un angelo”.

S:“Però dovrai ammettere che è nel silenzio che ci avvolgiamo, molto più che nei buoni dialoghi.”

J:“Già, nel silenzio accade ogni scommessa, tutto si consuma, si fraintende, ma a volte si chiarisce.”

S:“Sa stare in silenzio solo poca gente. Ci si dovrebbe educare al silenzio per essere migliori”

J:“Lo si fa comunque leggendo, viaggiando, essendo curiosi del mondo, perché è questo il solo modo che abbiamo per comprendere le ragioni profonde del silenzio. Come acquisire il tatto indispensabile per tacere al momento opportuno, altrimenti?”

S: “Direi che è questo”

J: “Anch’io”

S:“Forse qualcuno riprenderà i nostri discorsi”

J:“Forse no, ma ciò non dovrebbe spaventarti, mio caro nichilista”

S: “ Già. È stato comunque un utile momento di confronto, John. Grazie”

J: “Grazie a Gadamer, che ha aperto un prezioso varco nel nulla, per sentirci gettati nella finitezza, ma sempre capaci di alzarci per tentare un nuovo equilibrio, in cerca di una misura di cui non esiste misura”.

S:”Ci è andata bene, tutto sommato”

J: “Allora ti ho convinto ad essere gadameriano?”

S:” Giammai, è l’essenza della noia.”


(delirio che osai inserire anche come appendice alla mia tesi di dottorato sulla misura come forma logica del sapere ermeneutico. Il titolo dell'appendice era "Dove si nasconde la bellezza?")

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