UTOPIA DEL COMPRENDERE

 Questo è il titolo di un libro molto bello di Donatella Di Cesare, studiosa di Hans Georg Gadamer, da cui trassi ispirazione per un capitolo della mia lontana tesi di laurea del 2008 sull'universale ermeneutico.

 A proposito di luoghi che ancora non esistono ma si dovrebbe cercare di inventare, di cui ho parlato nei post precedenti sullo spazio, l'utopia della comprensione è sicuramente uno dei più complessi.

Rovine del passato "accademico"

La sfida della comunicabilità, dell'intendersi l'un l'altro è stata per me surrettiziamente motrice di tanti interessi filosofici e socio politici che hanno troppe volte deluso le mie esagerate aspettative.

Il dubbio permanente di non aver compreso davvero nulla né degli altri, né di me stessa e men che mai del senso della vita, non mi ha mai abbandonato, ma ci sono lunghe fasi in cui questa tensione agnostica diventa talmente lieve che ripenso alle mie crisi e sospetti radicali come  eccessi cervellotici ridicoli e privi di fondamento, ritrovando nel contatto con gli altri a me cari le ragioni più profonde della convivenza umana.

Mi sono ripromessa e mi riprometto ancora oggi troppo spesso di fare cose ben oltre i miei limiti, forse soprattutto perché da un numero di anni indefinito mi pressa l'idea che la morte possa irrompere senza preavviso, negando definitivamente qualsiasi occasione per sfumare contrasti e spegnere conflitti e guerre fredde.

Poi guardo come va il mondo, constato quella tiepida accettazione di ingiusti distacchi, incomprensioni e sparizioni dolorose che mi sembra riguardi la maggior parte dei miei simili e capisco che, laddove la comprensione non è avvenuta e ci si è perduti di vista - perché non è vero che "chi non muore si rivede", poiché può non rivedersi più anche chi non muore-, non sempre si origina un dramma atroce. E capisco che le mie ricerche passate di estorcere una nuova parola ad interlocutrici ed interlocutori accasciati in silenzi spesso più che legittimi, saranno dovute apparire inevitabilmente patetiche non solamente a loro, ma probabilmente persino a un Dio.

Bisogna allenarsi all'incomprensione.

Non siamo nati per farci comprendere, ma per tentare di comprendere un po' meno peggio, in modo sempre precario e ogni volta differente, il mondo, gli altri e noi stessi, forse.
Oppure siamo nati per amare. E rimanere benevolmente sulla soglia tra familiarità ed estraneità. Chissà.
In ogni caso, l'ermeneutica, con quella sua ostinata, imperterrita, petulante e fastidiosa ricerca di avvicinarsi all'alterità in cerca di un'intesa, considerando il dialogo il più autentico compimento dell'essenza umana, non salva nessuno.

Anziché cercare a qualunque costo la vicinanza, ormai so che il più delle volte bisogna sprofondare beati nella lontananza, nella latenza, nell'estinzione lenta e progressiva di ogni ricordo che fa fiorire tutte le relazioni umane, in modo da conservare solo poche immagini vivide e significative e non incorrere in amare delusioni.

Dovrei tessere, insomma, un elogio dell'oblio della storia biografica, senza immaginarlo mai più una colossale fregatura che ci nega la sostanza del nostro vissuto esistenziale. Dovrei concepirlo finalmente, al contrario, come la sola garanzia concessa per guarire dagli eccessi di sensibilità e ansia che purtroppo in quarant'anni non ho ancora imparato a smussare veramente. Ma non so se ci riuscirò.

Sarà che sono cresciuta negli anni Ottanta dando troppo credito inconsciamente a quel messaggio "Ci scusiamo per l'interruzione" che appariva gentile e delicato nel suo abbindolare menti ingenue di bambine occidentali viziate come la sottoscritta, facendo credere che esistesse una continuità permanente, un flusso eracliteo di suoni e immagini dentro lo schermo talmente ininterrotto che il disagio avvertito nella sua brusca sospensione fosse reale, autentico, sentito da ambo le parti del tubo catodico.

Naturalmente, la continuità non può esperirsi nella vita vera, che è piena zeppa di rotture, strappi, conflitti, buchi di piccole dimensioni o gigantesche voragini, dimenticanze involontarie o deliberati rivolgimenti che spezzano il ritmo che cerchiamo di assicurarle seguendo delle abitudini, più o meno sane, ma che non bastano a mitigare l'impressione che qualunque previsione di quanto accadrà successivamente sia del tutto ardua e arbitraria.

Il blog, anacronistico tentativo precario di dare ordine ad un caos che dilaga e sempre prevarrà, ad ogni modo va in vacanza per qualche tempo, lasciando in sospeso questioni antiche e nuove che, se Dio vuole, un dì riprenderò.

Ad maiora!

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