PRIVATO CAPITALIZZATO


"L'abisso non ha biografi", Emily Dickinson

 
Roberto Sebastiàn Antonio Matta, "E lucean le stelle"

Diversi anni fa, scrivevo su facebook:


Prima, nel mondo estraneo alla violenza della tecnica che ci vuole interconnessi in un eterno presente insostenibile, tante assenze si sopportavano in silenzio.
Non era giusto né elegante esprimere tutto.
Si lasciava che la malinconia abitasse spazi ignoti ai più, senza intralciare in alcun modo il corso delle nuove giornate e le sue preziose presenze, per le quali c'era evidentemente più riguardo. Più di oggi, almeno, sicuro.

Si potrebbe pensare che certi silenzi fossero legati soltanto a una morale borghese che reprimeva incautamente ciò che era destinato, comunque, a esplodere e che liberarsi dai vincoli retorici sia stato fondamentale per guadagnare una comunicazione più schietta e fluida che non trinceri più nessuno in una lingua privata.

Eppure, a quale prezzo abbiamo demolito tanti tabù?
Forse a quello che aveva già prefigurato una novantina di anni fa Heidegger, parlando della medietà, "il carattere esistenziale del Si", ossa quella vita del Man che esercita la sua dittatura del " così fan tutti" livellandoci senza pietà:

"Nel determinare ciò che è possibile e ciò che è da evitarsi, la medietà risolve ogni eccezione in se stessa.
Ogni primato è silenziosamente livellato, ogni originalità diffusa e dissolta nel già-risaputo, ogni grande slancio diviene oggetto di discussione e transazione, ogni segreto perde la sua forza.

 

La cura della medietà rivela una nuova possibilità dell’ esserci, e cioè il livellamento di tutte le possibilità di essere.
Contrapposizione commisurante, medietà e livellamento, in quanto esistenziali del ‘Si’, costituiscono la ‘pubblicità’. Essa regola ogni interpretazione dell’ Essere-nel-mondo, ed ha sempre ragione lei.

 

La pubblicità oscura il senso di tutto e presenta ciò che è stato oscurato e dimenticato come notorio ed accessibile a tutti.

 

La banalizzazione di ciò che è originariamente unico costituisce il particolare modo della pubblicità di prendersi cura degli enti."


Non bisognava, allora, forse fare a pezzi quella sacra regione interiore dove navigano i pezzi di noi che non hanno trovato collocazione in questa vita, restando impigliati lì dove ad altri è riuscito di "far quadrare i conti".
I conti, in realtà, non tornano mai per nessuno, non del tutto.
Ma tra un oblio impossibile e una perversa, ossessiva rimembranza, esistono vie di mezzo che, probabilmente, incarnano meglio la virtù della giustizia.
E, tanto per cominciare, si dovrebbe avere più rispetto sia per i volti che abbiamo amato e su cui oggi ci pronunciamo spesso deformando "la bocca in un ingorgo di parole" che disonora De André, sia per quelli che amiamo adesso incondizionatamente, con il desiderio pulito che duri per sempre. E che probabilmente non va affatto esibito alla massa.
Sobrietà cara, quando tornerai?



Conosciamo bene il prezzo della connessione e della condivisione, quell'estinzione del confine tra intimità e "pubblicità" di cui parlava Heidegger. 

Il recinto entro cui coltivare la propria sfera personale si è progressivamente indebolito fino a smarrirsi quasi del tutto e oggi ci si ritrova a dare in pasto quotidianamente pezzi più o meno importanti di sé stessi a un pubblico sconosciuto, con cui la facilità estrema di instaurare un contatto genera l'illusione che l'interesse all'ascolto reciproco sia reale.


Ma che te ne frega, in fin dei conti, di cosa ho mangiato? 

Quanto può appagarti scoprire cosa ho letto? 

E perché dovrebbe interessarmi sapere dove hai trascorso il weekend o quale serie tv ti senti di consigliare?

Dite la vostra, io ho detto la mia. 

Reminiscenze di agorà antiche, abitate da vaghe parole ed "immagini consolatrici", ma senza alcun contatto vero, senza nessuna luce negli occhi, variazioni di toni della voce o alcun gesticolare, capaci di imprimere maggiore forza alle dichiarazioni fatte, o seppellirle con una risata. 

Così è l'epoca del pensiero corto e delle dita rapidissime.

 E c'è tanta dolcezza ed ironia in questo comunicare velati e dislocati, ma anche tanta inerzia amara, propria di chi non riesce più a relazionarsi con slancio nella realtà.

Siamo in una vetrina permanente entro cui vorremmo attuare una rivoluzione che non riesce a spaccare alcun vetro. 

Ma chi è questo "siamo"? Chi c'è dietro questo "vorremmo"?

Meglio parlare per me.

La tirannia dell'esposizione perpetua indispone forse solo chi ha perduto il desiderio e l'energia di esibirsi e alla luce del riflettore preferisce le penombre modeste e i chiaroscuri silenziosi.

Difendersi dal livellamento ritirandosi e ignorando il chiacchiericcio è sempre una possibilità.

 Richiede allenamento e accettazione di una dimenticata, apparente invisibilità. 

Ci vorrebbero molte ore di silenzio, lezioni indelebili sull'imprescindibilità delle latenze e dei nascondimenti, perché il senso sprofonda assai spesso in un abisso senza didascalie e punteggiatura.

E invece esco, torno e poi sono ancora qui, alla ricerca dei tà timiotera, le cose di maggior valore di cui parlava Platone e che non possono in alcun modo essere imbrigliate nella scrittura. 

Men che mai nella virtualità sregolata, perché il privato non può e non deve diventare merce, anche se di fatto è così da tempo, da molto prima di onlyfans e amenità varie che non conosco né mi va di conoscere. 

Per un po', magari, spengo i riflettori e mi sforzo di seguire il sole, proteggendo affetti e segreti dalla società del "curtigghio".


In fondo, rendersi irreperibili ogni tanto non guasta. 

E non è da trascurare nemmeno il piacere di non avere niente da dichiarare.


Balthus, pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola (Parigi, 29 febbraio 1908 - Rossinière, 18 febbraio 2001), Thérèse Dreaming, 1938


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